04/11/19

Recensione di Numero 11 di Jonathan Coe

Trama: L’undicesimo romanzo di Jonathan Coe è una storia dei nostri tempi: dal suicidio di David Kelly, lo scienziato britannico che aveva rivelato le bugie di Tony Blair sulla guerra in Iraq, agli anni austeri della Gran Bretagna che conosciamo oggi.

È un romanzo su quell’infinità di piccole connessioni tra la sfera pubblica e quella privata, e su come queste connessioni finiscano per toccarci, tutti.

È un romanzo sui lasciti della guerra e sulla fine dell’innocenza.

È un romanzo su come spettacolo e politica si disputino la nostra attenzione, e su come alla fine probabilmente è lo spettacolo ad avere la meglio.
È un romanzo su come 140 caratteri possono fare di tutti noi degli zimbelli.
È un romanzo su cosa significhi vivere in una città dove i banchieri hanno bisogno di cinema nelle loro cantine e altri di banche del cibo all’angolo della strada.
È un romanzo in cui Coe sfodera tutta la sua ingegnosità, il suo acuto senso della satira e la sua capacità di osservazione per mostrarci, come in uno specchio, il nuovo, assurdo e inquietante mondo in cui viviamo. 


Questo romanzo di Jonathan Coe non è semplicissimo da recensire.
Anche solo a livello di storia si presenta come un unico libro, ma in realtà è un collage di episodi tenuti assieme da un tenue filo, piccoli legami.
Assistiamo all'instaurarsi di un legame tra Rachel ed Alison, due compagne di scuola unite dall'amicizia tra le madri. Tutto comincia quando Alison passa una breve vacanza a casa dei nonni dell'altra perché le mamme sono in vacanza. In seguito le due continueranno a sentirsi benché non continuativamente.
Il tempo passa e assistiamo ad episodi collegati alla vita delle ragazze, nella fattispecie la conclusione del periodo di studi, le prime esperienze lavorative ed amorose degne di significato.
Lo scenario cambia ancora e si passa al lato investigativo circa la scomparsa di individui abbastanza noti.
Non mancano note horror o da thriller.

Il fatto di aver mescolato un romanzo contemporaneo, la satira, il tocco thriller e quello horror sono dimostrazione di talento. Per quanto io abbia apprezzato ogni parte, avrei preferito sia conoscere di più di tutti i personaggi per mettere i puntini sulle i e un genere unico, anziché ogni volta cambiare come se ci fosse una grande indecisione sul filone da seguire.
Discutendo ho capito che il numero 11 serviva solo come indizio "giallo" anche se non c'è un vero giallo, che la storia è il resoconto delle vicende da parte di Rachel e il risvolto "horror" è stato più chiaro.
Per il resto è stata una bella lettura nel solito linguaggio scorrevole, ma anche curato di Coe.
Le riflessioni sulla vita attuale non mancano.

Durante le prime pagine giuro che mi sembrava di essere in Italia oggi, a dimostrazione che tutto il mondo è paese.
Quando Alison e Rachel sono dai nonni di quest'ultima, si parla di immigrazione e di come il nonno potrebbe essere l'italiano medio di oggi. Anti immigrati all'ennesima potenza e convinto che chi si lamenta delle condizioni ingiuste che se ne torni a casa sua se non vuole lavorare perché, si sa, chi non vuol sottostare al caporalato è un fannullone. Mi si è accapponata la pelle, anche ai commenti che Alison sente, ma, scafata com'è, ignora.
Ecco, se a Rachel si può rimproverare di essere troppo passiva, l'Alison giovane è sboccata e troppo smaliziata, anche se dipende da com'è cresciuta. Sembrano giorno e notte le due ragazzine, ma si completano perché non si perderanno mai di vista.

Ma si parla anche d'altro. Ad esempio come questa sia l'era dell'apparenza, di come la tv e l'informazione vengano manipolate, di come l'apparenza inganni e di quanto frivolo sia tutto ciò. Si fa di tutto per essere famosi, magari si viene dipinti lontano da come si è e le persone non vanno oltre a ciò che di noi si vede. Quella degli haters è una realtà, ormai purtroppo consolidata, volgare e violenta. Ci si rende spesso sia vittima che bersaglio.

Non manca una grande attenzione all'omosessualità che non sempre viene presa bene da tutti, ma ci sono anche coloro che odiano tutti i diversi e, anzi, se fanno parte anche di coloro che vengono aiutati vengono anche trattati come feccia ed approfittatori a spese dello stato. E' il caso di Josephine Winshaw-Eaves, discendente della celebre famiglia e giornalista feroce che si scaglia contro determinati soggetti.
Non manca l'attenzione al banco alimentare, un ambito a cui certe persone devono rivolgersi, ma che causa imbarazzo nei fruitori e spesso incompresione da chi non vi è dentro perché è effettivamente squallido, per quanto tutto dipende sempre da come si guardano le cose.
Ovviamente si analizza a fondo anche chi vive nel lusso e la povertà non può neanche sognarla. C'è quindi un confronto tra poveri e ricchi.

E' anche evidente la considerazione che non si può vivere nel passato, non è migliore, è la nostalgia a far parlare. Cose che non vanno ci sono sempre ed oggi non si vive peggio.Certo non al meglio, ma non peggio. Certe cose abbiamo potuto evitarle, per fortuna.
In questo romanzo ci sono anche molti modelli educativi diversi tra loro. Un esempio è quello, da parte di una docente di Rachel, di una madre che è rude col figlio affinché non cresca con la tendenza a desiderare il passato come il padre.
Mi sono piaciuti i concetti per cui ogni generazione perde la sua innocenza politica e che si monetizzi lo stupore (basti pensare ai film).

Però il finale mi ha fatto abbassare drasticamente il voto. Mi aspettavo più coesione tra le varie parti, più spiegazioni e soprattutto non un finale paranormale per cui...Ho capito quel che è successo o mi sono fatta un film?

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