06/04/20

Recensione di Quando lei era buona di Philip Roth

Trama:In questo romanzo tanto divertente quanto terrorizzante, assoluta protagonista è, caso unico nei romanzi di Philip Roth, una donna.

Quando era ancora una bambina, Lucy Nelson ha vissuto il fallimento di un padre alcolizzato e violento che entrava e usciva di prigione. Da allora ha sempre cercato di correggere gli uomini intorno a lei: anche se questo poteva voler dire sacrificare se stessa nel tentativo. Con i ritratti infallibili e precisi di Lucy e di Roy, il marito infantile e sfortunato, Roth ha creato un grande quadro della vita americana e dei suoi sentimenti, dei suoi desideri e dei suoi rancori, una visione allo stesso tempo spietata e piena di compassione. Il terzo romanzo di Philip Roth, pubblicato nel 1967 e proposto oggi in una nuova traduzione, procede con la stessa ineluttabilità della tragedia greca.

Questo è il mio secondo romanzo di Philip Roth ed è molto diverso dal primo.


Tutto comincia dalle vicende di Willard, figlio sensibile, figlio di un uomo duro e pessimo, capace di farla pagare al figlio ed umiliarlo anziché elogiarlo, ad esempio, per delle medaglie vinte in una corsa. Willard è buono, ma debole e vittima del perbenismo, si fa sottomettere da Whitey, marito della figlia Myra, un pusillanime che trova tutte le scuse per i problemi che lo affliggono, lui non è mai colpevole, e che vive con Willard e la moglie. Myra è la classica donna che sopporta le vessazioni. Sua madre Berta non le è molto vicina, ma ovviamente è stufa del marito e vuole che questa situazione finisca, soprattutto se la figlia non ha il coraggio di dire no e rimanere sola.

In mezzo a tutto questo caos cresce Lucy, figlia di Myra e Whitey, una giovane dalle tendenze cattoliche, lucida riguardo la sua situazione familiare e contro questo padre vigliacco . Sa essere fin troppo chirurgica nelle scelte e nelle decisioni, anche se questo vuol dire trovarsi la famiglia contro. Non ha paura a dire che vuole andare a studiare lontano, emanciparsi e dipendere meno possibile dai suoi parenti, dover loro poco o niente. Vuole essere perfetta, ma la ricerca della perfezione può piegare.

E’ un romanzo che parla di famiglia e responsabilità. Il matrimonio ed i figli sono importanti, ma richiedono un duro lavoro e molto sacrificio e non tutti sanno impegnarsi nel modo giusto. In questo libro quasi non esistono coppie senza crisi, ma alcune sono veramente gravi ed andrebbero affrontate, certo non insabbiate. Whitey e Myra sono l’esempio principale, ma non è l’unica coppia. Ve ne sono anche con controparti infantili, come capiterà alla stessa Lucy, o dove l’adulterio è un problema.

Si tratta anche la violenza domestica, la dipendenza psicologica. Si discute anche di educazione, di come fosse normale alzare le mani o essere genitori rigidi, cattivi perfino. O di differenze sociali e di come esistano famiglie davvero digradate.

Trattandosi di  un romanzo ambientato negli anni ’50/’60, è interessante leggere della voglia di emanciparsi delle giovani e dei desideri sessuali tanto femminili quanto maschili, della confusione sul futuro che prendeva spesso i giovani di ritorno da esperienze militari.

Lucy comunque è un personaggio controverso ed il finale ce lo mostra prepotentemente. Ha sempre avuto ragione lei? Vedeva le cose attraverso un velo distorto? Era pazza? Secondo me aveva ragione, ma vivere in una società e con persone che pensano prima all’apparenza ed a ciò che pensano gli altri deve averla logorata. Ad esempio, accade un fatto grave, lei, razionale, chiama le forze dell’ordine e di questo verrà sempre accusata perché “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Ma andatevene a… Non è facile essere lucidi e razionali, anche duri, in un clima così, dove ci si aspetta che le cose vadano in un certo modo (e questo capita ancora oggi: quanto perbenismo c’è ancora? Forse meno “falso” perché abbiamo più libertà, ma c’è. E quanto le persone ci giudicano ed etichettano spesso senza nemmeno conoscerci o, peggio, proprio quando dovrebbero conoscerci come i familiari?).

Questo romanzo è molto diverso da “Lasciar andare”, è l’unico con una protagonista femminile e pare sia ispirato alla moglie di Roth, non esattamente un buon presagio né mi stimola buoni pensieri verso di lui. A chi ha partecipato al gruppo di lettura di Leggo quando voglio è piaciuto poco, a me invece è piaciuto tantissimo e l’ho trovato un ottimo ritratto di società con personaggi “stereotipati” ma ben analizzati. Non mi sono sempre trovata col modo di scrivere, un po’ confusionario, per me, però il bilancio finale è più che buono.

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