10/12/19

Recensione di Un ragazzo normale di Lorenzo Marone

Trama: Mimì, dodici anni, occhiali, parlantina da sapientone e la fissa per i fumetti, gli astronauti e Karate Kid, abita in uno stabile del Vomero, a Napoli, dove suo padre lavora come portiere. Passa le giornate sul marciapiede insieme al suo migliore amico Sasà, un piccolo scugnizzo, o nel bilocale che condivide con i genitori, la sorella adolescente e i nonni. Nel 1985, l’anno in cui tutto cambia, Mimì si sta esercitando nella trasmissione del pensiero, architetta piani per riuscire a comprarsi un costume da Spiderman e cerca il modo di attaccare bottone con Viola convincendola a portare da mangiare a Morla, la tartaruga che vive sul grande balcone all’ultimo piano. Ma, soprattutto, conosce Giancarlo, il suo supereroe. Che, al posto della Batmobile, ha una Mehari verde. Che non vola né sposta montagne, ma scrive. E che come armi ha un’agenda e una biro, con cui si batte per sconfiggere il male. Giancarlo è Giancarlo Siani, il giornalista de “Il Mattino” che cadrà vittima della camorra proprio quell’anno e davanti a quel palazzo. Nei mesi precedenti al 23 settembre, il giorno in cui il giovane giornalista verrà ucciso, e nel piccolo mondo circoscritto dello stabile del Vomero (trenta piastrelle di portineria che proteggono e soffocano al tempo stesso), Mimì diventa grande. E scopre l’importanza dell’amicizia e dei legami veri, i palpiti del primo amore, il valore salvifico delle storie e delle parole. Perché i supereroi forse non esistono, ma il ricordo delle persone speciali e le loro piccole grandi azioni restano.

Sto recuperando i libri che mi mancano di questo autore e, in questi giorni è toccato a "Un ragazzo normale".


Devo dire che Mimì mi è piaciuto subito. Ama i libri, la cultura, i fumetti e vi si rifugia senza indugio, conscio che lo studio è importante, in ogni caso è curioso e avido di sapere e non gli pesa. Non riesce a comprendere perché nessuno lo capisca, soprattutto all'interno della sua stessa famiglia che è composta da gente semplice e un po' spiccia, che a volte si fa imbrogliare, abbindolata dalla tv, dalle basse possibilità economiche.
Conosco un pò la situazione, ma a viverla esattamente come lui sarei andata ai matti! Vivere in una casa piccola con tutti i familiari (nonni materni, genitori e sorella) e con ben poca comprensione, benché l'affetto comunque ci sia. E' comunque un ambiente ricco tra l'esuberante sorella, i nonni in battibecco, la mamma dalle mille risorse e il papà poco chiacchierone e senza grilli per la testa.

Da appassionato di supereroi non poteva non appassionarsi a Giancarlo Siani, suo vicino di casa (ovviamente viveva lì, ma Mimì è frutto di fantasia) e giornalista de Il Mattino che scrive di e contro la camorra. Lo trova eroico, come se fosse una specie di Batman dei giorni nostri. Il ragazzino riesce a stringere amicizia anche se il cronista è sempre impegnato e spesso il giovane sarà l'alleato di Mimì nelle questioni amorose con la coetanea e condomina ( un po' classista) Viola.
Ho amato molto il pensiero di Mimì circa gli eroi, che ci servono, e la replica del nonno che dice che ad impicciarsi si rimane impicciati e che gli eroi vanno bene, ma in un altro palazzo. E' il tipico esempio di mentalità italiana da struzzo, stimolato dalla paura, che ci porta a considerare che in Italia non cambierà mai niente se continuiamo a pensarla così. E tanti la pensano così.
Questo comunque non è un libro su Siani, ma un libro su Mimì, sulla Napoli degli anni '80 e sullo scenario in cui si muove e perisce Siani che ha avuto il coraggio di parlare, un coraggio che gli è costato caro.

E' un romanzo che parla di un'Italia che non c'è più, ormai la situazione è troppo variegata. Ma allora gli italiani stavano bene, tanti, ben pochi contavano il centesimo come i genitori di Mimì (mica siamo nel dopo guerra, dopotutto), serviva anche meno, vestirsi elegante o di marca era un'eccezione, un'abitudine per pochi, mentre oggi è uno status symbol. E' vero quel che pensa Mimì: certo, il dolore ci segna, ma le rinunce fanno un lavoro anche migliore.
Così come pensa che l'amicizia sia importante e non guarda alle differenze se riconosce persone con cui legare, come il barbone tedesco cieco e il suo cane Beethoven. La sua famiglia e l'amico Sasà disapprovano, ma lui se ne frega e continua le chiacchierate con l'amico, non tradisce sé stesso e non mente praticamente mai (gli ormoni gli fanno avere qualche abbaglio, ma è raro).

Questo libro racconta l'infanzia agli sgoccioli, quella che sta per finire e che, prima o poi, tutti lasciamo, spesso con dolore. E per Mimì finirà drasticamente.
Alcuni bambini erano costretti a crescere presto, come l'amico Sasà diviso tra il padre che necessita di aiuto in salumeria e la madre malata. Si comportava in maniera esagerata, ma forse era l'unico modo per rimanere a galla. Non esistevano tante premure fino a qualche decennio fa. Se eri bambino, ma dovevi crescere, lo facevi e basta. Gli adulti erano assolutamente poco capaci di immedesimarsi in loro, anche in assenza di grandi problemi, l'importante era che scocciassero poco.

Ci viene anche fatto capire che la leggerezza è un salvagente, è necessaria per sopravvivere. Questo, la famiglia Russo, la famiglia di Mimì, l'ha capito bene. Mica è così soddisfatta come crede. Guarda semplicemente dove può guardare, le sue amarezze ogni membro della famiglia le cova di sicuro, ma si tirano sempre su e Mimì lo imparerà, prima o poi.

Marone, come sempre, descrive la vita con un linguaggio semplice e ci regala una piccola perla, anche se avrei voluto più presenza di Siani. Però sarebbe stato un altro libro e invece va bene così.

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