08/08/19

Recensione di La guerra di Catherine di Julia Billet e Claire Fauvel

Trama: Rachel, giovane studentessa ebrea, frequenta una scuola speciale, la Maison di Sèvres, e ama guardare il mondo attraverso la sua Rolleiflex. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale è però costretta a fuggire e a cambiare identità. Aiutata da una rete di partigiani, Catherine - questo il suo nuovo nome - dovrà nascondersi in luoghi sempre diversi e imparare a fidarsi di persone nuove, senza mai separarsi dalla sua macchina fotografica. Da questo lungo viaggio prenderà vita la sua testimonianza per immagini che invita a non dimenticare la bellezza nascosta nel quotidiano e che celebra gli eroi anonimi, che mettono a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. Un viaggio che l'aiuterà a crescere e che la trasformerà in una donna libera.

Questa è una graphic novel per ragazzi, ispirata ad una storia vera.
Ci troviamo negli anni ’40, durante il secondo conflitto mondiale, e lo scenario si apre sulla Maison de Sèvres, in Francia, alle porte di Parigi, una scuola dai metodi pedagogici innovativi che stimolavano i ragazzi ad apprendere da soli, ad esplorare e non ad essere chiusi in rigide classi dove l’obiettivo è solo riempire i ragazzi di studio. Si applicano però anche in altri ambiti, come l’inserimento sotto copertura di bambini e  ragazzi ebrei che altrimenti sarebbero perseguitati. Rachel Cohen è una di loro, ma presto sarà costretta a spostarsi più volte assumendo l’identità di Catherine Colin per sfuggire ai nazisti.

E’ impossibile non amarla, sempre positiva, matura, incapace di arrendersi, perspicace e ricca di iniziativa. Avrà in lei una spalla, Alice, piccola sfollata lontana dal fratello e dai genitori, molto isolata e bisognosa di affetto.
Le persone con cui ha a che fare (insegnanti ed altri soggetti che le ospitano) sono molto umani anche se diversi tra loro. Fanno capire che c’è un’umanità ancora presente ed attiva anche se minacciata da poteri forti eppure incapace di accettare ingiustizie.

La storia è puramente di fantasia, ma ispirata a Tamo Cohen, madre di Julia Billet, ospite della Maison de Sèvres. Ci viene raccontata così, attraverso i semplici, ma comunicativi disegni di Claire Fauvel, in maniera leggera eppure incisiva, una parte di storia poco nota. Di solito si pensa agli ebrei sterminati  o fuggiti, non a chi rimaneva nel mezzo, non fuggito e non rinchiuso, ma a rischio di cattura. Si tratta comunque di un modo di vivere insicuro, che vede chi lo subisce sempre pronto a troncare vita e rapporti ovunque e in qualunque momento, sempre abituato a mentire o non rivelare nulla di sé, sotto copertura a tempo indeterminato, non si sa quando e come il conflitto finira. Dietro c’è una storia di separazioni e di assolutamente incerte e non garantite future riconciliazioni. Non è facile per nessuno, meno ancora per dei giovani che, più o meno evidentemente, ne soffrono. Tutto per colpa di un totalitarismo che vedeva nel diverso una minaccia da estirpare. 


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