Trama: Raymond ha imparato a stare in equilibrio prima ancora che a camminare. I suoi genitori, gitani francesi, erano circensi, e il pubblico impazziva per il numero del piccolo acrobata. Negli anni Trenta, quando la maggior parte dei suoi connazionali non sapeva né leggere né scrivere, viveva in case spoglie e non si spostava, Raymond aveva una carovana con l'acqua calda dai rubinetti, conosceva tutte le regioni e sapeva leggere. Suo padre aveva combattuto per la Francia durante la Grande Guerra, ed era grazie a lui che nelle località più sperdute erano arrivati i film di Charlot. Il mondo di Raymond finisce il 4 ottobre 1940, quando all'alba si presentano delle guardie che trascinano via lui e tutta la famiglia. Senza una spiegazione, come fossero delinquenti. Vengono portati in un autodromo, trasformato in centro di detenzione. Lì, insieme a centinaia di altri gitani, vengono privati dei loro averi e lasciati a patire fame, freddo, angherie. Costretti, pur denutriti e senza forze, a ripulire dalle erbacce la pista perché i tedeschi possano divertirsi a gareggiare. Ma il calvario è solo all'inizio. Raymond sarà deportato ai lavori forzati in Germania e vedrà da vicino la Shoah degli zingari, non meno feroce di quella riservata agli ebrei. Separato dai suoi, a soli quindici anni dovrà ricorrere alle doti di equilibrismo imparate da bambino per sopravvivere. E attingere al carattere ereditato dalla sua gente, che lo spinge a inseguire la libertà. Sempre e a qualunque costo.
Il giorno della memoria è alle
porte ed io ho letto questo libretto che mi è stato passato da un’amica che ha
fatto pulizia di libri.
Il tema affrontato, seppure in
tema, non è il solito circa la persecuzione ebrea. Bensì si parla di gitani, un
tema spinoso e di cui si sa poco, per quanto antico, di cui si parla per
pregiudizi.
Insomma, chi di noi vi pensa
favorevolmente? Chi non pensa subito a zingari, ladri, ruba bambini,
delinquenti? Cosa c’è di vero e cosa c’è di falso?
Raymond Gureme ci parla della sua
esperienza.
Lui è un gitano, un giostraio, un
itinerante francese per l’esattezza. La sua vita è sempre stata una piazza dopo
l’altra, in un clima festoso e rilassato, naturale, libero. Però è arrivata la
guerra e la Francia ha collaborato con le leggi ariane contro gli itineranti
che si vedranno privare di tutto e verranno chiusi in campi d’internamento,
lasciati a perire la fame, lavorare allo stremo e senza diritti. E sono quelli
a cui va bene, gli “zingari”, quelli a tutti gli effetti, sono andati ai forni.
Ma questo per mano di “concittadini” francesi e non di tedeschi.
Gureme così inizia un’odissea per
la libertà ed ora in una lotta alla verità perché le autorità francesi negano
questi fatti, hanno rinvigorito sempre più leggi restrittive sulle genti del
viaggio.
Ci si lamenta poi che siano dei
selvaggi o dei violenti. Certo, hanno modi di fare assolutamente diversi e modi
di pensare atipici. Per loro è vitale viaggiare ed essere liberi, è un limite
la vita dei sedentari. Per me vivere così sarebbe un incubo, elettrizzante solo
il primo mese. Ho bisogno della mia stabilità.
Ma poi pensiamo… Queste persone
hanno avuto un assaggio di restrizioni nella prima guerra mondiale, nel secondo
caso sono state anche oggetto di pesanti persecuzioni e soprusi (nati
soprattutto dall’errata traduzione del termine zingaro dal tedesco),
persecuzioni e soprusi che non sono mai stati ammessi ne risarciti, dopodichè
si trovano sotto l’autorità di aguzzini impuniti per quanto successo durante il
conflitto e sotto leggi sempre più limitanti e dannose nei loro confronti.
L’autore stesso ammette che non è sempre un ottimo comportamento, ma dopo
quanto sopportato in guerra non sopporta più maltrattamenti e scatta anche per
nulla, in un modo che ai “sedentari” può sembrare e, per me è, eccessivo e
fomentando le cattive voci. Voci che comunque un po’ saranno vere. Ammetto di
essere contaminata dal pregiudizio, ma sicuramente pensiamo male noi tanto
quanto questo popolo santo non è, anche se la lettura di questo libro lascia
suggerire sia una semplice conseguenza ai fatti del passato ed alle restrizioni
del presente. Che fanno temere nuovi campi d’internamento e la sola idea mi
atterrisce.
Quanto mi ha colpito, a pagina
22, è “l’usanza dei sedentari di insegnare la vita chiusi in una stanza”,
riferito alla scuola. Io trovo che Gureme abbia proprio ragione. Lui però pensa
che il pregiudizio nasca anche dall’invidia di un sedentario verso chi non ha
bisogno di radici, perché loro le hanno dentro e sono liberi . Può aver
ragione, io però non mi sento invidiosa. So che non fa per me.
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