Trama: Il 6 marzo 1664 Elsje Christiaens, giovane e bella diciottenne, dolce di carattere e del tutto ignara del corso del mondo, avvolta in uno scialle, con un bauletto da viaggio ben legato al braccio, lascia le fredde terre danesi dello Jutland e si imbarca sulla Dorothe, un veliero diretto ad Amsterdam.
Il 3 maggio 1664 la ragazza viene giustiziata in piazza Dam mediante strangolamento, e il suo corpo messo in mostra sulla forca di Volewijck per essere divorato dal vento e dagli uccelli nel corso delle stagioni.
Come sovente accade, la sua triste sorte avviene per un mero capriccio del destino. Una volta ad Amsterdam, la ragazza trova rifugio in un’ambigua locanda dove alle ragazze ospiti è chiesto spesso di pagare in natura intrattenendosi con i clienti. Dopo il suo ostinato rifiuto a cedere alle avances di un cliente, la locandiera le intima un giorno di saldare il conto – un misero tallero, non di più – sull’unghia, senza proroghe, e la colpisce con una scopa. Elsje Christiaens sente divampare dentro di sé un’improvvisa, inarrestabile violenza e poi la perfetta calma con cui si annuncia sempre qualcosa di terribile. Sventura vuole che scorga un’accetta su una sedia e che con quella colpisca, ripetutamente, la locandiera.
Il caso di Elsje Christiaens, assassina per un tallero, sarebbe consegnato irrimediabilmente all’oblio del tempo, se un grande pittore, impegnato in quei giorni di maggio del 1664 a dipingere un’opera che chiameranno La sposa ebrea e che, dal XVIII fino al XX secolo, nessuno riuscirà a guardare senza «infinita tenerezza», come scrisse van Gogh, non avesse deciso di recarsi a Volewijck, e non avesse immortalato su una pergamena la sfortunata ragazza danese, ancora bella, ancora fresca e pallida, con gli stivaletti di renna ai piedi, la gonna rigonfia in corrispondenza della pancia, e le ginocchia strette dalle corde.
Basandosi su fatti realmente accaduti – Rembrandt nel 1664 ritrasse davvero in due disegni la serva danese Elsje Christiaens, giustiziata dopo essere stata accusata di omicidio –, Margriet de Moor descrive abilmente le passioni, le speranze e gli amori di una ragazza e di un grande artista, entrambi stranieri nell’Amsterdam del XVII secolo (Rembrandt proveniva da Leida), in una storia vibrante di pensieri ed emozioni.
Io amo l'arte, ma, leggere romanzi a tema, ho scoperto che non è esattamente la mia passione...
Questo sarà il terzo romanzo che leggo dove si parla quasi esclusivamente di arte ed è uno dei peggiori.
Il libro comincia con il pittore che, in passeggiata, capisce che ci sarà un'esecuzione, scopre che si tratta di una diciottenne e fa di tutto per evitare di recarsi in piazza, non è mai stata una sua passione anche se intuisce che il caso è certamente particolare.
E, con una lentezza immane, il libro continua... Parliamo della seconda moglie del pittore, della morte di peste, dell'epidemia di peste, delle condizioni atmosferiche, del municipio e della sua magnificenza. Ovviamente anche di arte e molto, ora posso ricordare che l'arte olandese in particolare ha cinque tonalità di luci da camera, la più scura coincide col nero.
Ah, sì, ogni tanto parliamo di Elsje Christiansen, così, per diletto. Scopriamo perchè lascia, presumo, la Danimarca, la sua vita qui in Olanda, la sua traversata, perchè presumibilmente ha fatto quel che ha fatto. Ma nei ritagli di tempo.
Il pittore forse l'ha vista una volta. Di fatto si è fissato con una sconosciuta quando ha scoperto della condanna. E poi...Sicuramente è Rembrandt, ma sto uomo un nome non ce l'ha. E' solo il pittore.
Sicuramente se ci si vuole fare un'idea dell'Amsterdam del XVII secolo, dell'arte, della vita da pittore, di come si gestisce un'epidemia di peste dopo il medioevo, qualche nozione sulla navigazione nei mari del nord è l'ideale.
Ma per propormi un romanzo storico , romanzalo. Fammi parlare solo Elsje e poi metti in mezzi "il pittore" quando risulterà necessario.
Oppure fai parlare il pittore, ma crea qualcosa di rocambolesco anche se questa opzione avrebbe potuto risultare raffazzonata.
Tanto, i fatti sono talmente lontani che tante cose devono per forza essere raccontate a naso.
Adesso, non sono scrittrice, non posso assolutamente permettermi di dire che la De Moor non sappia scrivere perchè la storia è scritta bene. La gestione delle vicende però non mi è proprio piaciuta.
Non cercavo una storia introspettiva all'inverosimile, documentaristica, ma un romanzo di passioni e fatti. Cavolo, Elsje uccide la locandiera ed ho visto solo che le cose accadevano, sembrava di assistere a dei burattini manovrati dai fili. Questo pittore la ritrae. E nella sostanza sembra il racconto casuale di episodi di vita altrui. Cosa mi aspettassi mi è poco chiaro a fine lettura, ormai.
Non mi è rimasto nulla.
Ovviamente questo è un parere estremamente personale ed ho cercato di esprimermi nella maniera più cortese possibile, spiegando organicamente cosa non mi è piaciuto.
Questo sarà il terzo romanzo che leggo dove si parla quasi esclusivamente di arte ed è uno dei peggiori.
Il libro comincia con il pittore che, in passeggiata, capisce che ci sarà un'esecuzione, scopre che si tratta di una diciottenne e fa di tutto per evitare di recarsi in piazza, non è mai stata una sua passione anche se intuisce che il caso è certamente particolare.
E, con una lentezza immane, il libro continua... Parliamo della seconda moglie del pittore, della morte di peste, dell'epidemia di peste, delle condizioni atmosferiche, del municipio e della sua magnificenza. Ovviamente anche di arte e molto, ora posso ricordare che l'arte olandese in particolare ha cinque tonalità di luci da camera, la più scura coincide col nero.
Ah, sì, ogni tanto parliamo di Elsje Christiansen, così, per diletto. Scopriamo perchè lascia, presumo, la Danimarca, la sua vita qui in Olanda, la sua traversata, perchè presumibilmente ha fatto quel che ha fatto. Ma nei ritagli di tempo.
Il pittore forse l'ha vista una volta. Di fatto si è fissato con una sconosciuta quando ha scoperto della condanna. E poi...Sicuramente è Rembrandt, ma sto uomo un nome non ce l'ha. E' solo il pittore.
Sicuramente se ci si vuole fare un'idea dell'Amsterdam del XVII secolo, dell'arte, della vita da pittore, di come si gestisce un'epidemia di peste dopo il medioevo, qualche nozione sulla navigazione nei mari del nord è l'ideale.
Ma per propormi un romanzo storico , romanzalo. Fammi parlare solo Elsje e poi metti in mezzi "il pittore" quando risulterà necessario.
Oppure fai parlare il pittore, ma crea qualcosa di rocambolesco anche se questa opzione avrebbe potuto risultare raffazzonata.
Tanto, i fatti sono talmente lontani che tante cose devono per forza essere raccontate a naso.
Adesso, non sono scrittrice, non posso assolutamente permettermi di dire che la De Moor non sappia scrivere perchè la storia è scritta bene. La gestione delle vicende però non mi è proprio piaciuta.
Non cercavo una storia introspettiva all'inverosimile, documentaristica, ma un romanzo di passioni e fatti. Cavolo, Elsje uccide la locandiera ed ho visto solo che le cose accadevano, sembrava di assistere a dei burattini manovrati dai fili. Questo pittore la ritrae. E nella sostanza sembra il racconto casuale di episodi di vita altrui. Cosa mi aspettassi mi è poco chiaro a fine lettura, ormai.
Non mi è rimasto nulla.
Ovviamente questo è un parere estremamente personale ed ho cercato di esprimermi nella maniera più cortese possibile, spiegando organicamente cosa non mi è piaciuto.
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