09/08/18

Recensione de Gli scaduti di Lidia Ravera

Trama: Nell’Italia europea di un futuro prossimo, il Partito Unico, che ha preso il potere in nome dei trenta/quarantenni, stabilisce, per legge, il ritorno a una società “naturale”, in cui le generazioni, invece di accavallarsi, tornino a susseguirsi, in buon ordine. A trent’anni si coprono le postazioni di comando, a sessanta, si viene ritirati. Dove? Non è chiaro. Un mondo a parte di cui si sa poco e si cerca di immaginare il meglio. Gli anni del Grande Disordine hanno messo a dura prova la pazienza dei cittadini, le nuove regole vengono perciò accettate come un cambiamento necessario. Anche Umberto, amministratore delegato di una azienda importante, allo scadere del suo tempo, accetta di lasciare casa amici posizione e l’amatissima moglie Elisabetta, di poco più giovane di lui e altrettanto ben piazzata nel mondo del lavoro. Forse è giusto scansarsi e fare posto ai figli, come Matteo che, a 35 anni, ancora vive all’ombra di suo padre. Non è colpa di nessuno se, oggi, si muore più tardi. Se “gli scaduti” hanno ancora, davanti, 30 anni di vita attiva. Bisogna collaborare, non bisogna sentirsi defraudati. E poi Elisabetta lo raggiungerà. Peccato che le cose non siano come sembrano, come vengono rappresentate. Ribellarsi è giusto. Ma è anche possibile? Un romanzo ironico, distopico e paradossale, in cui l’antico conflitto generazionale prende la forma di un incubo totalitario. Un divertito esperimento narrativo con cui Lidia Ravera artiglia la realtà di oggi per mostrare che cosa potrebbe accadere se, ad essere rottamate, non fossero le macchine ma gli umani. 

Questo romanzo fa parte a metà di ucronia e distopia. Quest'ultima perché è un modello di società futura ben organizzato e preoccupante. La prima perché è quel che potrebbe accadere (se non sta già accadendo) se le cose andassero in un certo modo, cambiando il corso della storia.

I principali protagonisti sono quattro. Conosciamo per primo Umberto. E' stato un membro importante della società portante, ma ha raggiunto i sessant'anni. E' giunto il momento di farsi da parte e di prepararsi al ritiro dalla comunità. Saluta suo figlio Matteo (e qui le analogie fanno fare i brividi, anche se alla fine nessuno dei  Matteo cui penso io mostrerebbe un ravvedimento personale come il personaggio letterario ad un certo punto) che prepara il discorso di commiato come ogni figlio maschio fa per il padre ed è anche il migliore pronunciato.

Resta poi Elisabetta, moglie/partner di Umberto e madre di Matteo, poco meno che sessantenne, importante esponente del settore Tempo Libero, che non partecipa alla cerimonia per desiderio del marito e, penso, per evitarsi un dolore. 
Si impone Federica, partner fissa di Matteo, prossima all'età massima per avere figli, che, egoista e perfetta esponente del suo tempo, sta programmando la sua entrata in scena.

L'Italia non è un paese per vecchi, questo romanzo lo dimostra ancora di più. Al giorno d'oggi essere vecchi vuol dire avere problemi e zero assistenza o quasi, l'impossibilità di ritirarsi, senza penalità, dal mondo del lavoro e quindi di lasciare largo ai giovani, spesso inoccupati (se volontariamente o meno apre la strada ad altri spinosi discorsi). In altri casi, al potere soprattutto, un "anziano" spesso non si vuole ritirare.
Qual è la soluzione in questo romanzo? Una rigida scissione anagrafica. A venticinque anni massimo si fanno figli, a sessanta ci si ritira dalla vita pubblica, in oasi per l'anzianità in base ai propri contributi. E' il modello perfetto, tutto è catalogato.
Però non tutti concordano. Elisabetta è una sovversiva, accettata dal sistema, ma non è certo la sola. In ogni caso chi osa troppo non è tollerato. Qualsiasi sistema si affermi, ce lo mostra anche la cronaca, non tollera opposizioni di alto livello. Le sopprime. Ma il sistema non accetta mai che i sentimenti e l'individualità non si possono spegnere, mai completamente. Non siamo programmabili come un computer, anche se siamo molto influenzabili. Questo non si può controllare.
Ed è il caso di Umberto che si trova a sperimentare cosa tocca ai sessantenni in esilio e tocca con mano l'inganno che ha contribuito a creare, benché con scetticismo. Non è fiduciosa nemmeno Elisabetta che non si fa intortare dalle blande rassicurazioni che riceve. C'è odore di bruciato ed avranno ragione entrambi.

E questo romanzo fa chiedere: ma perché è cosi difficile vivere in armonia? Perchè dobbiamo crearci tutti questi problemi? Non sarebbe più facile usare la testa e dividersi compiti e responsabilità, non creare queste divisioni rigide e letali, imparare umiltà e sacrificio? La società di ora è allo sbando, anche se la classe politica si sta effettivamente un poco svecchiando ( ma non sembra un bene. Certe scelte, tipo a livello vaccinale, fanno terrore e sono reali e contemporanee!), ma non va bene neanche un clima da Gestapo come quello del romanzo. Sesso da praticare come sport, tutto è permesso purché sia una pratica di piacere e non del cuore e si facciano comunque figli entro i venticinque anni, rigida divisione di classe ed età, rispetto tassativo dei propri ruoli, divieto di chirurgia plastica... E' agghiacciante e tutto sommato alcune cose le facciamo anche senza imposizioni. Basti pensare... Quanti ricchi e poveri si mischiano senza lanciare accidenti all'altro? Quanto le diversità sono realmente accettate e non guardate con sospetto?

Il finale aperto dona speranza, ma anche angoscia perché il timore che tutto vada male è alto e concreto.
Un romanzo che si legge scorrevolmente, ma che richiede uno stato d'animo sereno perché coinvolge e infonde angoscia, ansia, timori, rabbia, preoccupazione del futuro. Certo non un cocktail di buoni sentimenti.

2 commenti:

  1. Sembra interessante, però devo ammettere che non sono convinta del tutto. Vedrò di leggere un estratto!

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    1. È senz'altro particolare e sconcertante.

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