13/06/18

Recensione di Fontamara di Ignazio Silone

Trama: Fontamara fu pubblicato a Zurigo nel 1933. Ambientato in un paesino abruzzese, Fontamara appunto, racconta l'eterno conflitto tra "cafoni" e "cittadini", reso ancora più drammatico dall'avvento del fascismo. I contadini e i braccianti, rassegnati ormai e quasi assuefatti a subire senza reagire catastrofi e soprusi di ogni genere, abbrutiti dalla miseria e dalla lotta per la sopravvivenza, trovano la forza di ribellarsi quando si rendono conto dell'ultima, ennesima truffa ordita sulla loro pelle, che, per una coincidenza non casuale, corrisponde temporalmente all'entrata in scena del regime fascista. Figura centrale del romanzo è Berardo Viola, che rappresenta l'esigenza di riscattare una vita di silenzio e passività, esigenza che diverrà essenziale e imprescindibile anche per gli altri "cafoni" fontamaresi. 

Temo i classici, soprattutto del periodo bellico, ma questo è ambientato in Abruzzo,cioè , in Abruzzo!
Deliri a parte, dirò qualcosa di più...

Ignazio Silone, nativo di Pescina dei Marsi, rimane orfano col terremoto del 1915 che ha piegato la Marsica, è cristiano ed antifascista.
La sua narrazione si incentra sui "cafoni", non i maleducati, ma la gente semplice ed ignorante, i contadini che tutto sopportano perchè sempre così è stato, "lor signori"  vogliono i soldi e loro a patire la fame nonostante il sudore versato nella terra.

Qualsiasi novità in queste lande dimenticate non arriva se non quando è tardi per essere al passo. Per questa gente il fascismo ha avuto connotati quasi mistici, sicuramente foriero di guai. Ci si sono scontrati, ma non avevano idea di cosa fosse.
Nel romanzo Fontamara è un piccolo villaggio abitato appunto da cafoni.
Con il completamento dei lavori della piana del Fucino e con il solidificarsi del potere dei piemontesi i guai peggiorano. Se all'inizio le persone tacciono e sopportano perchè così è sempre stato, prima  o poi ci si stufa e scaglierà le prime pietre Berardo Viola, cafone senza terra che non perdona facilmente il nuovo stato di cose.

Questa storia oltre a mostrarmi lo spaccato sociale dell'epoca, mi ha mostrato anche dei fatti storici da un punto di vista che ignoravo. E per me è stato molto importante.
Io ho passato quattro intensi (purtroppo, per altri  motivi, anche duri e sofferenti ) anni in Abruzzo, prima a Carsoli e poi ad Avezzano. E' una terra che mi è rimasta dentro, ne ho anche il sangue nelle vene perchè mia nonna era abruzzese. Questo romanzo mi ha scaldato il cuore, fatto riflettere e sorprendere.
Infatti io ho sempre conosciuto vagamente la storia: il Fucino è stato prosciugato, il principe Torlonia ha fatto suo questo impegnativo progetto a suon di finanziamenti e problemi, un progetto che si riallaccia al lavoro del romano Claudio, uno degli ultimi a tentare un'impresa così grande nei secoli che furono e che il principe termina. Gloria a lui ed alla ricchezza che tutto ciò ha comportato, alla salute perchè anche la malaria è stata debellata.
Oggi scopro il rovescio della medaglia perchè chi viveva nelle aree pedemontane ha sofferto questi cambiamenti, inaspriti dalle leggi del fascio, dai privilegi del Torlonia, incomprensibili ai fontamaresi che li vedono come soprusi e pure eccessivi rispetto al solito.

Purtroppo non viene detto nulla di nuovo: la carta "porta guai", i padroni vincono sempre e le cose continueranno così, alzare la testa costa sempre un prezzo, i poveri ed i ricchi parlano la stessa lingua ma è come non fosse così.
Il linguaggio lo temevo arcano e noioso, il ritmo lento. Invece il libro si legge che è un piacere. Sono presenti termini, espressioni o ortografia di alcune parole ormai desueti, ma sembra quasi scritto ai giorni nostri e con grande perizia.
Poi mi permette almeno con la mente e col cuore di andare ai paesaggi che conosco, forti e volitivi. Si affaccia alla memoria il monte Velino, la piazza della Cattedrale, piazza Torlonia.
Che noi italiani abbiamo scoperto tardi ed a lungo denigrato questo autore è certamente una vergogna grande.

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