29/04/20

Recensione di Lamento di Portnoy di Philip Roth

Trama: Travolto da desideri che ripugnano alla sua coscienza e da una coscienza che ripugna i suoi desideri, Alex Portnoy ripercorre con l'analista, in un monologo-fiume, la propria vita. A partire dalla famiglia ebraica: il padre, un assicuratore sempre vissuto in funzione della propria stitichezza e la madre, «che radar, quella donna! Mi controllava le addizioni in cerca di errori; i calzini alla ricerca di buchi; le unghie, il collo, ogni piega o grinza del mio corpo alla ricerca di sporcizia». Quel che ad Alex però interessa piú di tutto è il sesso. E dopo un'adolescenza trascorsa chiuso a chiave nel bagno, «a spremersi il pisello nella tazza del gabinetto», Alex vive una storia dietro l'altra, sempre con ragazze non ebree, quasi che penetrando loro potesse anche penetrarne l'ambiente sociale: «come se scopando volessi scoprire l'America. Conquistare l'America». Fino alla storia di sesso travolgente e sfrenato con la «Scimmia» e all'epilogo, come ultima spiaggia, in Israele, dove Alex, totalmente incredulo, si accorge di come lí sia tutto ebraico. «Questa è la mia vita, la mia unica vita, e la sto vivendo da protagonista di una barzelletta ebraica».

Questo romanzo è tanto breve quanto sbarazzino.


Il protagonista è ovviamente Portnoy, Alexander Portnoy, un ebreo americano che decide di andare dallo psicanalista per parlare dei suoi problemi e delle sue ossessioni per lo più di origine sessuali.

E’ un lungo monologo in cui parla dell’infanzia, dell’adolescenza, di fatti per lui salienti, seguendo il filo logico a lui più congeniale e quindi facendo avanti ed indietro nel tempo.

Fa parte di una comune famiglia ebrea, composta da una madre dominatrice e maniaca del controllo (capace di minacciare il figlio col coltello se non finisce il pasto), mai soddisfatta del figlio, da un padre perdente e con sintomi psicosomatici che sfociano nella stitichezza, che affligge il figlio con la sua inadeguatezza e da una sorella tappezzeria un po’ fuori forma. I genitori sono assolutamente incapaci a capire questo figlio, così come tanti altri genitori dell’epoca. Spesso non abbiamo la capacità di capire i figli nemmeno oggi, ma abbiamo strumenti e volontà che un tempo non c’erano e non sarebbero stati presi in considerazione. Inoltre la famiglia di Alex è ebrea e contano molto aspetti tipici della loro società e del loro credo che comunque non avrebbero reso fertile il terreno della comprensione. Alex è attratto dalle ragazze shikse (non ebree), ma si percepisce che la sua società disprezza i gentili/non ebree e che ha un’alta percezione di sé.
Alex si chiede chi li abbia fatti così morbosi, isterici, deboli, a chi abbia reso i suoi così pieni di senso del pericolo e di senso di colpa. Tutto ciò si è trasferito a lui che vuole essere forte, senza vergogne, privo anche delle paure più stupide e più equilibrato dal punto di vista sessuale, da cui è ossessionato. Eppure è un giovane di successo, con un’ottima posizione lavorativa.

Il finale mi confonde, ma rende ancora più evidente che quello di Alex è proprio un lamento! Gli servirebbe della grinta!

Mi è piaciuto molto leggere questo romanzo, l’ho trovato ricco di spunti, ben scritto, coinvolgente e prova del talento dell’autore. Ormai sono al terzo romanzo, cambia ogni volta struttura ma con abilità e grandi capacità di cambiare punti di vista e registri narrativi.


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