07/04/20

Recensione de L'isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli

Trama: In un mondo sconvolto dal mutamento climatico e definitivamente avvelenato dagli uomini, in un futuro non troppo lontano, un morbo si è diffuso fino a diventare una vera pandemia: la chiamano “malattia del vuoto” ed è l’incapacità di riprodursi, la sterilità. Per avere un domani, l’umanità è costretta a ricorrere in forme sempre più pesanti alle biotecnologie. La società si divide in due fazioni contrapposte che si combattono furiosamente: da una parte ci sono gli “uomini della scienza”, dall’altra gli “uomini della vita”. Ma le donne da che parte stanno? In mezzo al Mediterraneo c’è un’isola conosciuta fin dall’antichità come l’Isola delle madri, e su questo lembo di terra sorge la Casa della maternità, un posto speciale che non è solo una clinica come tante altre, ma anche un centro di ricerca dove si tenta di sconfiggere la malattia del vuoto e in cui prende forma un nuovo modo di spartirsi i tradizionali ruoli familiari. Livia, Mariama e Kateryna hanno storie profondamente diverse e sono cresciute in paesi lontani, ma ognuna di loro – chi per lavoro, chi per mettersi al riparo da una guerra, chi spinta dall’onda lunga dell’emigrazione – è destinata ad approdare sull’isola. Una volta sbarcate, le loro vite si intrecciano inevitabilmente, anche grazie all’intervento di Sara, la direttrice della Casa della maternità. Perché tutte e quattro devono fare i conti con lo stesso problema: la possibilità o l’impossibilità di essere madri. E i tanti modi di esserlo e di diventarlo. Romanzo visionario e terribilmente realistico al tempo stesso, L’isola delle madri è una riflessione necessaria sui cambiamenti che il surriscaldamento globale e le biotecnologie riproduttive provocheranno negli uomini e nelle società, ma è anche un luminoso inno alla vita, che ripone ogni speranza nella capacità delle donne di parlarsi, unirsi, lottare e costruire insieme.


E’ passato molto tempo dalla mia prima lettura di Maria Cutrufella e sono stata contentissima di essere stata contattata per recensire “L’isola delle madri”, appartenente al genere distopico che io adoro.
Mi scuso infinitamente per il ritardo nella lettura e, di conseguenza, per la recensione tardiva, ultimamente faccio tutto a fatica e mi ritrovo estremamente impegnata pur tra le quattro mura di casa tra didattica online dei figli, un pomeriggio con contrazioni rivelatasi per fortuna nulle ed altre incombenze non rinviabili che occupano tempo.

Le vicende ci vengono narrate da quella che capiamo essere una giovane donna e che ci racconta la storia delle donne importanti per lei: Sara, Mariama, Kateryna e Livia. Quattro destini diversi e distanti tra loro che il fato unisce.

Geograficamente ci vengono dati riferimenti vaghi che ci fanno capire bene o male dove ci troviamo a grandi linee, così come i riferimenti temporali. Capiamo che il futuro è molto prossimo, il mondo è diventato inquinato, inospitale, velenoso, la natura è più che compromessa e pure gli uomini stessi sono irrimediabilmente rovinati. La più grande rovina è l’infertilità che colpisce quasi tutti.
In questo mondo operano le case maternità, cliniche specializzate, evoluzione dei nostri attuali centri per la procreazione medicalmente assistita. E questo sarà lo scenario principale e di fondo che avrà il romanzo.

Sara è un medico che opera nelle emergenze, Kateryna un’infermiera specializzata, Mariama una profuga costretta dalla famiglia a migrare dall’Africa, Livia un’insegnante di discipline classiche condannata alla sterilità più assoluta. Tutte saranno madri della voce narrante, introducendo il tema della maternità: chi è madre? Chi dona l’uovo? Chi ti porta in pancia? Chi ha il tuo sangue? Chi ti cresce? E quando si diventa madri? Cosa succede durante la gestazione?
Sono tutte domande a cui trovare una risposta non è facile e la risposta giusta non esiste. A me personalmente piacciono le risposte classiche che otteniamo tramite Livia e le sue lezioni su Eschilo, il mito di Oreste, il mito di Demetra e Persefone e la loro caratteristica di essere una base per la storia vera, vissuta, mentre per altri, come Sara, i miti sono una rivelazione di ciò che nasconde la psiche.

Ho trovato una grande preparazione da parte dell’autrice, in parte “aiutata” dal ricordo del padre chimico che già negli anni ’60 si occupava di inquinamento ed effetti ad ampio spettro su natura e uomo, un tema ora urgente, ma che da anni non è una novità. Però all’epoca interessava a ben pochi. Certo, nel pianeta siamo in tanti, ma probabilmente ci ridurremo perché l’inquinamento ha già prodotto importanti effetti su di noi e non sappiamo né quali altri ne produrrà né come evolverà la situazione, soprattutto se si continuerà  a non correggere il tiro.
Sono interessanti anche gli spunti di discussione circa la fecondazione assistita a livello etico, morale, di bisogno, benché, nella società del libro, sarà una tappa obbligatoria per chi cerca un figlio a tutti i costi in un mondo dove i bambini sono diventati una vera rarità.

Ma il libro non è solo preparazione “accademica”, ma anche capacità narrative di ottimo livello.
Si legge senza rendersi conto delle righe che scorrono sotto agli occhi. La storia, scritta con un italiano semplice e scorrevole, è magistralmente narrata e condotta, seguendo il percorso che le viene imposto. I personaggi sono realistici, ben disegnati, completi.

Questo è chiaramente un ottimo esempio di distopia (o cli-fi? Climate fiction, in altre parole, un’evoluzione del sottogenere), qualitativo, adulto, per una volta italiano, e che punta a stimolare interrogativi, dibattiti e a non rimanere indifferenti a temi che ci riguardano tutti.

In relazione alla challenge viaggio nel caos ho scelto questo libro perché fa parte del genere a cui appartiene La strada di McCarthy.


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