22/03/19

Recensione di Adua di Igiaba Scego

Trama: Igiaba Scego nel suo romanzo ci racconta la storia di una donna matura, Adua, che vive a Roma da quando ha diciassette anni. Adua è una Vecchia Lira, così i nuovi immigrati chiamano le donne giunte nel nostro paese durante la diaspora somala degli anni Settanta. Ha da poco sposato un giovane immigrato sbarcato a Lampedusa e ha con lui un rapporto ambiguo, fatto di tenerezze e rabbie improvvise. Adua è a un bivio della sua vita: medita di tornare in Somalia, paese che non ha più visto dallo scoppio della guerra civile. Ormai è sola Roma (la sua amica Lul è già rientrata in patria), per questo confida i suoi tormenti alla statua dell'elefantino del Bernini che regge l'obelisco in piazza Santa Maria sopra Minerva. Piano piano racconta a questo amico di marmo la sua storia: suo padre Zoppe, ultimo discendente di una famiglia di indovini, lavorava come interprete durante il regime fascista e negli anni Trenta baratta involontariamente la sua libertà con la libertà del suo popolo. Adua, fuggita dai rigori paterni e dalla dittatura comunista, approda a Roma inseguendo il miraggio del cinema.

Romanzo a due voci, quella di un padre e di una figlia, Adua indaga il loro rapporto impossibile e ci racconta il sogno di libertà che ha consumato in modi e tempi diversi le vite di entrambi.

Ho scelto di leggere questo libro dopo aver letto un articolo sugli stranieri "italiani" ovvero su coloro che pur nati e cresciuti qui sono considerati stranieri.
Questo libro non parla esattamente di questo, ma è collegato al tema.
Infatti si intrecciano tre tempi di narrazione: la voce di Adua, la voce del padre Zoppe prima di essere padre e la voce di Zoppe quando è padre.

All'inizio non è chiaro il senso della narrazione perché troviamo Adua che trova l'atto di proprietà della casa del padre, capiamo che non è in una grande situazione economica, legata ad un marito ragazzino che a volte si chiede perché ha tirato su.
Poi si salta alla paternale del padre.
Non mancano i capitoli con la voce del padre somalo che ha provato la vita in Italia come traduttore al soldo dell'Italia coloniale e poi come traditore-traduttore durante la campagna di espansione coloniale nel continente africano tra Etiopia ed Eritrea.
L'unico comune denominatore è che sono stati fregati entrambi dalla nostra penisola, hanno un destino parallelo e sono soli. I salti temporali rendono evidenti i cambiamenti nel tempo dei protagonisti che sembrano ogni volta diversi. L'Adua ragazzina e lo Zoppe padre non hanno nulla a che vedere con la donna matura e col giovane pieno di speranze.

Questo libro parla di una vicenda inventata, ma nella maniera più realistica possibile, con meno licenze possibile.
Gli africani che hanno dovuto collaborare con l'invasore ci sono stati, lo stesso per le donne come Adua che credevano di poter sfondare nel mondo dello spettacolo benché non nella stessa situazione della somala, quindi si parla di tutti i compromessi che si cerca di accettare per cercare il successo, soprattutto se si è donne.
C'è il tema dell'infibulazione e della purezza.
Si parla di razzismo tra immigrati. La stessa Adua è una vecchia lira, non giunta per mare, ma il marito lo chiama Titanic visto che è venuto col barcone.
Si parla di tanti argomenti.
La narrazione però non mi è piaciuta. Mi aspettavo di stare male, invece è stato più forte il disgusto per quel che venivo a sapere e come. I capitoli di Zoppe padre mi hanno irritato oltremodo. 
Comunque è stata una lettura interessante anche se sofferta.

L'autrice ha nominato anche l'ebook  La negazione del soggetto migrante di Flore Murard-Yovanovitch che non sono riuscita a comprare. L'account di bookrepublic mi impedisce di reimpostare la password! Sarebbe interessante come approfondimento.

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