26/09/18

Recensione di Quello che ti dirò di Albert Espinosa

Trama: Izan ha quarant'anni ed è sordo. Suo padre si è sempre rifiutato di parlargli nella lingua dei segni e non ha mai voluto accettare la sua disabilità. I due hanno un rapporto difficile: fin da quando Izan era piccolo il padre lo ha trascurato per il suo lavoro: cercare bambini scomparsi. Ma ora è anziano e malato e Izan decide di accompagnarlo in Italia, sul lago di Como, per aiutarlo ad affrontare il suo ultimo caso, quello di Catherina, una tredicenne vittima di abusi. Una volta lì, però, i due scoprono che le cose non sono come sembrano: Catherina è ricoverata in un ospedale psichiatrico e non ha affatto tredici anni. La versione della ragazza non regge e, in più, nessuno sa chi sia veramente e da dove venga. Catherina racconta una storia incredibile, ma la verità non è solo una fredda successione di fatti e Izan dovrà rivedere tutto il suo passato... L'autore di "Braccialetti rossi" torna in libreria con un nuovo romanzo in cui una trama ricca di colpi di scena si combina con la capacità di Espinosa di toccare temi importanti come la malattia, l'eutanasia e il bullismo, di approfondire le emozioni umane e di trasmetterci la voglia di affrontare la vita a viso aperto. Un libro che ci aiuta a combattere la paura di aver paura.

Questo romanzo è il primo che leggo dell'autore.
Finora non sono mai stata attratta dai suoi volumi, ma i rapporti figli-genitori mi ispirano sempre perché non è detto che siano rosei.
Il protagonista in questione ne è la dimostrazione. Izan diventa sordo durante l'adolescenza e suo padre non ha mai voluto comunicare con lui tramite LIS, il linguaggio dei segni. A peggiorare la situazione la professione del padre che cerca bambini scomparsi e che pare lasciare sullo sfondo proprio suo figlio.
A settant'anni suonati suo padre vuole partire per l'ultima ricerca. Una ragazzina gli ha scritto per chiedere aiuto, descrivendo una situazione terribile ed a tratti surreale. Qualcosa non torna, ma l'uomo è stuzzicato e decide di partire.


Questa  è davvero l'occasione per i due di aprirsi l'un l'altro, anche se in tempi e modalità diverse.
Izan non si fida a lasciare da solo il padre, anziano e malato, dunque lo segue e sarà una scelta saggia.
La struttura del racconto non è lineare. E' praticamente un monologo mentale del protagonista che ci spiega un pò tutto: il rapporto col padre, il loro passato condiviso, idee, opinioni ed ovviamente quel che accadrà di lì alla fine.
Il libro si legge in un attimo, lo stile di scrittura è minimale, semplice, asciutto e diretto. A volte il protagonista si ripete, ma molto spesso per integrare i suoi pensieri.
Lo scopo del libro comunque viene raggiunto perché ci si trova con gli occhi lucidi e la rivelazione di più segreti: quello della bambina della lettera e quello del padre di Izan.
E' poi possibile leggervi molte verità: per quanto possiamo cercare di essere altro dai nostri genitori, molto spesso ci troviamo ad essere come loro, in ogni caso molto somiglianti. La stessa professione di Izan lo dimostra: è epigenetista. Non cerca bambini scomparsi, ma cause ed origini di malattie che hanno esiti diversi in luoghi diversi (sono poco esplicativa, me ne rendo conto). La ricerca è il loro punto d'incontro.

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