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05/09/21

Recensione di Fronte di scavo di Sara Loffredi

 

Trama: Nell’agosto del 1962, nel centro esatto del Monte Bianco, viene abbattuto l’ultimo diaframma di granito che separa l’Italia dalla Francia. Gli operai hanno sopportato crolli, ritardi e imprevisti, procedendo palmo a palmo per 5800 metri, immersi nel fango, esposti alle emorragie d’acqua che frantumano la roccia. Nel ventre della montagna tutti gli uomini sembrano piccoli. Ma Ettore sente che quell’impresa visionaria lo riguarda, perché c’è un fronte di scavo anche dentro di lui, e quella meravigliosa cosa da pazzi vale una vita intera.


All’inizio degli anni Sessanta, centinaia di uomini sono impegnati nella più grande operazione di «chirurgia geografica» del secondo dopoguerra: il traforo del Monte Bianco. Devono procedere spediti, e soprattutto dritti, altrimenti la galleria italiana e quella francese non s’incontreranno. Ettore è un uomo di città, chiamato in valle per partecipare al progetto. I calcoli e le misurazioni sono il suo pane quotidiano, l’ingegneria il suo mestiere; di colpo viene precipitato in uno scenario che gli allarga la mente e il respiro. Insieme a lui ci sono Hervé, capocantiere di poche parole che di quei sentieri conosce ogni segreto, e Nina, indomita, che lavora alla mensa ed è sola con un figlio piccolo. Il fronte di scavo avanza, mentre Ettore impara a conoscere loro e sé stesso, accordando pian piano il suo ritmo a quello della montagna. La Regina Bianca è volubile e capricciosa, dorme per giorni, ma nella strana partita di conquista e seduzione che gioca con gli operai può trasformare il tunnel in un campo di battaglia. Con una scrittura limpidissima, Sara Loffredi ci guida nelle profondità della montagna e degli uomini, e ci mostra una pagina epica della nostra storia, scritta da un’Europa appena uscita dalla guerra ma capace di guardare con fiducia al futuro. 

Questo è un libro speciale che sto leggendo, assieme ad altri quattro fortunati, per una motivazione altrettanto speciale.
E' anche una lettura importante, parla dello scavo del Monte Bianco che ha avuto inizio nel '59, dopo decenni che se ne vociferava, sembrava ormai un mito. E' stata un'opera imponente, difficile e tutt'ora molto utilizzata.

Il protagonista e voce narrante è Ettore, un ingegnere immaginario che ci racconta la sua esperienza di vita e del cantiere.
E' un uomo cui mi sento affine, con la sua abitudine a ritirarsi dal mondo per riflettere ed il suo successivo lento ritorno alla società. Conta pure le cose come me per riordinare i pensieri, ad esempio i bottoni sulle giacche).
Anche lui ha cercato l'approvazione paterna, a lungo negata e tale rimasta per forze maggiori, ed è figlio di una donna che io penso dissociata, a metà tra amore e pena, tormento ed isolamento.
Non sa se ama il suo lavoro, ma è una persona responsabile che lo farà sempre bene. E' onesto anche nelle relazioni, però non gli riesce bene perché non è sincero con sé stesso e la relazione d'amicizia con l'amico e collega Hervé vacilla a causa della comune attrazione per Nina, cuoca e femme fatale, volitiva, indipendente ed intelligente, un personaggio che si è imposto nonostante di donne nei cantieri all'epoca se ne vedessero ben poche.
Ettore affronterà il suo passato e le sue inibizioni, questo cantiere porterà gioie e dolori, ma anche un viaggio nel suo animo.

L'autrice secondo me è stata magistrale.
E' accurata a livello tecnico (ci spiega cos'è una perforazione in uno scavo e le fasi: buchi, aspirazione delle polveri e sgombro), ma anche nel resoconto storico perché ci spiega che è stato un lavoro spesso ingrato e destinato al fallimento per la cedevolezza della roccia e l'acqua presente, ci è voluto tempo per trovare la stabilità nel granito.
Ci racconta delle condizioni dei lavoratori, migliorate rispetto agli scavi del San Gottardo, e di curiosità come la figura del rabeilleur, stregone/guaritore locale.
E' una narrazione diretta, efficace, concisa, pare di essere lì. Ed è anche agile, non pesante come un libro simile richiederebbe perché facciamo anche alcune importanti incursioni nel passato di Ettore. Infatti ci viene presentato il tempo in cui i figli dovevano tacere a tavola se non interpellati o venivano picchiati senza ricevere spiegazioni e per  motivi che ne avrebbero invece richieste altre. Si chiedevano obbedienza e rigore sul nulla.
C'è anche da riflettere: la natura non è sempre benigna, ma era necessario ferire la montagna? La pagherà l'uomo per la sua arroganza?
Inoltre penso anche alla burocrazia: i dirigenti sono più razionali perché più distanti da chi è a contatto con i problemi. E' giusto? Cosa si potrebbe fare? Domande nate dalle morti sul lavoro e dai protocolli d'emergenza.

Questo, per quanto accurato e realistico, resta un romanzo d'immaginazione con le comparse di Pietro Alaria, geometra, e del conte Dino Lora Totino, unici personaggi realmente esistiti e fautori del progetto.
L'autrice ha fatto ricerche, ma conosce bene questo progetto: ci ha lavorato il padre, alpinista, negli anni '70.
In ogni caso è un libro che ho amato, fresco (sotto tutti i punti di vista ed è utile con queste temperature e l'afa killer) e la nota di merito è l'assenza di refusi, una rarità.
Peccato per il finale/non finale, privo di "lieto", ma così è la vita.

Finito il 24/06/21


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