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09/03/20

Recensione di Lasciar andare di Philip Roth

Trama: «In quel periodo ero sottotenente d'artiglieria, di stanza in un angolo desertico e sperduto dell'Oklahoma, e il mio unico legame col mondo dei sentimenti non era il mondo stesso, ma Henry James, che da qualche tempo avevo cominciato a leggere». Congedato poco tempo prima dall'esercito, ancora scosso dalla recente morte della madre, libero dai vecchi legami e ansioso di crearsene nuovi, Gabe Wallach entra nell'orbita di Paul Herz, un compagno di studi, e di Libby, la malinconica moglie di Paul. Il desiderio di Gabe di mettere in relazione l'ordinato «mondo dei sentimenti» che ha conosciuto nei libri con il mondo reale si scontra prima con gli sforzi degli Herz di fare i conti con le difficoltà della vita adulta e poi con le sue stesse relazioni sentimentali. La volontà di Gabe di essere una persona seria, responsabile e generosa verso col prossimo viene messa alla prova dal rapporto con Martha Reganhart, una donna divorziata, madre di due bambini, vivace, senza peli sulla lingua. La complessa relazione di Gabe e Martha, e la spinta di Gabe a risolvere i problemi degli altri sono al centro di questo primo, ambizioso romanzo, di Philip Roth: ambientato negli anni Cinquanta, tra Chicago, New York e Iowa City, è il ritratto di un'America definita da vincoli sociali ed etici profondamente diversi da quelli di oggi. Pubblicato nel 1962, subito dopo la raccolta Goodbye Columbus, quando l'autore aveva 29 anni, Lasciar andare è presentato in una nuova traduzione ad opera di Norman Gobetti.


Questa è la mia prima prova per Philip Roth, autore che mi spaventava molto, che credevo noioso o complicatissimo o con l’ebraismo troppo prioritario, col rischio che offuscasse la scena.


Le vicende cominciano tutte da quelle di Gabriel Wallach, a partire dalla morte di sua madre, e si intrecciano a quelle di suo padre ed a quelle di Libby e Paul Hertz ed anche Martha Regenhart, personaggi che conosceremo man mano.

Paul è un collega d’università di Gabe e, nel bene o nel male, intrattengono un rapporto d’amicizia in cui si inserisce Libby, la moglie di Gabe. I due vivono una relazione tormentata in quanto le rispettive famiglie li hanno ripudiati. Studiare ed essere sposati non è affatto semplice, ma lui è un ebreo e lei una gentile convertita e nessuna delle famiglie d’origine ha accettato la cosa.
Presto si inserirà anche Martha, amante di Gabe, quando quest’ultimo e Paul saranno colleghi a lavoro e la stessa Martha avrà a che fare con gli Hertz in maniera indiretta, ma fondamentale.

Questo romanzo sembra non avere né capo né coda perché un vero finale non c’è, anche se ad un certo punto tutti i fili vengono tirati e capiamo il perché tutto è stato esposto in un certo modo.
Roth è innanzitutto un abile narratore ed un sopraffino tratteggiatore di personalità. Infatti i personaggi sono tutti psicologicamente in 3D, delle persone in carne ed ossa, sembrano davvero reali. Sono pieni di difetti, spesso privi di direzioni, sbagliano, non riescono ad essere felici.
L’ebraismo torna spesso, sia come caratteristica di Gabe che, di fatto è ateo, che come necessità di credere, appartenenza di un popolo. Bene o male, con Paul e Libby, questo argomento torna in maniera sempre più forte, ma non disturbante.

Chi conosce l’autore (ho letto col gdl di Leggo quando voglio che ha dedicato un gdl annuale a Roth) dice che si vede che qui è acerbo e che molti aspetti si renderanno sempre più definiti. Sono ottime premesse visto che il romanzo, pur lungo, mi è piaciuto molto. Una mole così non si legge facilmente se il testo non vale la candela. Ha scritto una storia complessa e ricca di sfaccettature con un linguaggio fruibile dai più, inserendo religione, ambiente universitario, pregiudizi, discussioni, l’aborto negli anni dell’illegalità ovunque e molte altre cose in maniera naturale ed armoniosa. Ho “odiato” tutti, ma proprio perché veri. Diciamo che il più mal sopportato è Gabe perché, con la scusa di voler fare del bene, a noi lettori è sembrato molto falso ed opportunista, alla ricerca continua della sensazione di essere indispensabile. Paul invece è un uomo debole come Gabe, ma triste e grigio, è stato capace solo di “plasmare” Libby, una giovane che si rende spesso nota come manipolatrice ed isterica.

Insomma, con Roth ho superato parecchie paranoie e cercherò di andare avanti con gli altri libri.


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