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13/03/19

Recensione di XXI secolo di Paolo Zardi

Trama: “Un futuro prossimo e dissonante, metafora di un’irreversibile crisi dell’Occidente… una scrittura aspra e controllata, illuminata da sprazzi di singolare originalità” – (Giancarlo De Cataldo)

In un imprecisato futuro del ventunesimo secolo, un uomo percorre le strade di un’Europa assediata dalla crisi e dalla povertà. Vende depuratori d’acqua porta a porta fissando appuntamenti da desolati centri commerciali. Ogni giorno svolge il proprio lavoro con dedizione e rigore avendo come unica ragione di vita sua moglie e i suoi due figli. Che sia un’intera società ad essersi illusa o un singolo individuo, la forza d’urto di una certezza che crolla dipende da ciò che si è costruito sopra. Guardando dritto negli occhi un Occidente in declino, Paolo Zardi racconta il tentativo struggente di un marito di capire quali verità possano nascondersi sotto le macerie delle proprie certezze, lo sforzo commovente di un padre di proteggere la sua famiglia quando tutto sembra franare. Opera al contempo intima e universale, XXI Secolo è una domanda fondamentale sull’identità e sulla capacità dell’animo umano di sondarne le profondità più nascoste; è il tentativo di comprendere quale significato possano ancora avere, negli anni che ci attendono, la parola “amore” e le sue molteplici forme. 

Quando ho iniziato questo romanzo non riuscivo a capire dove fosse la distopia. Mi sono detta:  ambientato praticamente ai giorni nostri, si parla di una madre che finisce in ospedale, dei figli lasciati alla nonna paterna, del padre disorientato e di una famiglia destabilizzata da questo evento. Dov'è che trovo la distopia , qui?
Quando poi l'ho capito non ho saputo dire se il romanzo fosse un ucronico o semplicemente un contemporaneo estremamente realistico.


Ad occhio pare che la storia sia narrata in una zona di confine, forse il Trentino, perché si parla spesso di Austria e Germania. Quel che noteremo, senza rendercene conto, finché non ci aggredirà violentemente e all'improvviso, è un mondo alla deriva. Le cose sono messe davvero male: pochi hanno lavoro, molti sono emigrati, chi resta deve lottare con le unghie e con i denti anche solo per respirare. C'è tanta violenza, niente è più sicuro, nemmeno una passeggiata nel quartiere. Tutto è inquinatissimo, si vedono rifiuti ovunque, masse gassose velenose. Nessuno ha più nulla, i condomini sono depradati. E' il disastro totale, la versione in narrativa delle conseguenze delle nostre scelte o non scelte. Oggi pochi pensano all'inquinamento o a cambiare le cose. C'è chi dice che sono panzane, chi non ci crede, chi non ci pensa, chi inquina appositamente perché è faticoso fare le cose per bene, chi ci lucra.
Ci troveremo disastrati, senza lavoro né futuro.

Quest'uomo sa in che mondo vive, è molto bravo a sopravvivere e regalare una vita dignitosa alla sua famiglia. La tragedia che lo colpisce però rivela molto della moglie, cose che non ha mai saputo. Si è trovato nel ruolo di madre oltre che di padre e lavoratore, cercando di sostenere i suoi figli Miriam e Marco che mostrano quanto la situazione abbia impattato su di loro, benché ognuno abbia il suo modo di palesare la cosa. Molte certezze crolleranno e questo romanzo non regala una speranza che sia una. I personaggi, ad eccezione della famiglia principale, li ho trovati poco caratterizzati anche se i tratti essenziali sono sempre dati.
Finisce, ma senza una fine. Può essere un lieto fine o meno, non ci è dato sapere qualcosa di davvero positivo e si intende che il futuro è e sarà orribile.
Insomma, la speranza non si percepisce nemmeno.

Non ho particolarmente amato il modo di narrare. E' semplice, diretto, a volte ho dovuto rileggere qualche passaggio perché mi era poco chiaro. Però la storia va dove deve andare ed alcuni passaggi assalgono all'improvviso per la loro brutalità e crudezza. Scene davvero disfattiste e avvilenti che ci mostrano un'umanità prostrata e derelitta. Essere il bel mondo, se non ci si impegna per far funzionare le cose, non serve a niente.



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