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25/04/18

Recensione di Quello che rimane di Paula Fox

Trama: New York, fine anni Sessanta. Otto e Sophie Bentwood sono una tranquilla coppia di mezza età, senza figli e senza più molto da dirsi. Nulla sembra poter scalfire la loro serenità borghese finché, un pomeriggio, l’innocua visita di un gatto randagio increspa le tranquille acque della loro vita. Contrariamente al parere del marito, Sophie dà del latte al gatto, che la morde procurandole una leggera ferita. Un incidente all’apparenza insignificante, che però innesca una strana reazione a catena: nell’arco di un weekend, mentre la ferita di Sophie si fa sempre più preoccupante, si succedono una serie di fatti spiacevoli e si dipana quella che minuto dopo minuto, pagina dopo pagina, diventerà per i Bentwood una sorta di piccola e misteriosa tragedia, costringendoli a rimettere in discussione non solo il loro matrimonio, ma anche la loro stessa esistenza.

Come scrive nell’introduzione Jonathan Franzen, al quale si deve la riscoperta in America del grandissimo talento narrativo e stilistico di Paula Fox, a una prima lettura Quello che rimane è un romanzo di suspense, che però si trasforma in altro a ogni successiva lettura, riuscendo sempre a sorprendere il lettore. A distanza di anni torna un clamoroso caso editoriale, il capolavoro di quella che è stata definita da scrittori come Jonathan Franzen, David Foster Wallace e Jonathan Lethem una delle grandi voci del Novecento americano.


La biblioteca sta comprando tutti i Fazi su cui ho messo gli occhi XD
Che poi la cosa si traduca in letture extra per me, è un altro discorso.

Questa è la storia di Sophie ed Otto Bentwood, coppia di mezza età che vive a Brooklyn alla fine degli anni '60. Una coppia come tante, senza figli, abbastanza benestante, ben assortita.
Veniamo introdotti agli eventi da una cena consumata dai due coniugi in tutta tranquillità, una quiete che verrà interrotta senza preavviso da un piccolo incidente: Sophie viene morsa dal gatto al quale riempie spesso una ciotola di latte.  Cerca di non far notare l'evento al marito, conscia della sua contrarietà alla decisione di nutrire il gatto. Vuota però il sacco e questa ferita sarà il fattore scatenante di tutto quel che accadrà dopo. Non molto, in realtà, ma questo terrore della donna di prendere la rabbia la tramuta. Quindi fatti domestici e quotidiani comuni mutano il loro naturale corso.

In questo piccolo volume si parla di matrimonio a 360°, nel bene e nel male. I due si amano, però si avverte quella certa insofferenza o quel doppio senso nelle frasi che apparentemente non dovrebbe esserci. Oppure il voler tenere nascosta una parte negativa di sè che inesorabilmente viene fuori ed è facilmente riconoscibile come comune dalla nostra metà. Il testo sembra carico di sottintesi e, secondo Jonathan Franzen (regista americano) che lo ha adorato, ogni lettura fornisce differenti chiavi di lettura. Questa ipotesi mi piace un sacco. Non sono una che rilegge molto, ma  si intuisce il potenziale che cerca di trasmettere Franzen.
Ci si chiede che senso abbiano ordine e civiltà in un mondo che può essere facilmente scosso. A loro basta un graffio, ma quegli anni sono turbolenti di per sè negli Stati Uniti. Ci viene raccontata una Brooklyn piena di immondizia, tensione razziale, persone in difficoltà, indigenti ed inconsapevoli di essere degradate, ideologie contrastanti (Otto ed il suo socio Charlie sono in rotta). Basta un nulla per far scoppiare la miccia.
Sophie è più aperta al cambiamento ed alla comprensione, Otto è molto conservatore, come suggerisce il suo nome. Sono ben assemblati, ma anche curiosi assieme.
Ho letto con piacere i dialoghi: botta e risposta, risposte crociate (faccio domanda x, mi viene risposto y, si riprende poi x), sono ben inseriti silenzi e cambi di discorsi che troncano i precedenti, benchè non sempre. Il testo non è composto solo da dialoghi, però dove ci sono sono perfetti.

Rileggendolo con attenzione si potrebbero certamente avanzare ipotesi sociologiche e psicologiche.
In ogni caso è una lettura dove non accade nulla di speciale, ma spinge alla riflessione, si può leggere anche senza pensare. Lo stile dell'autrice è graffiante, dinamico e pervaso di ironia. Non è chiaro che si debba ridere, però si avverte il frizzante spirito che anima alcune frasi.
Una piccola gemma del secolo scorso che non so se ricorderò, ma che mi ha avvinta e che forse, prima o poi, rileggerò.

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