Trama: Ana è una ragazza estroversa, allegra, brillante. È la migliore alunna del corso di medicina a Belgrado, è amata dagli amici, è l’orgoglio di suo padre, il generale Ratko Mladić, che lei ricambia con una devozione assoluta. Un viaggio a Mosca è l’occasione per passare alcuni giorni in giro per una grande città con il solo pensiero di divertirsi. Invece al ritorno Ana è cambiata. È triste e taciturna. Una notte afferra una pistola, quella a cui il padre tiene di più, e prende una decisione definitiva. Ha solo ventitré anni.
Cosa è successo a Mosca, tra corteggiamenti e feste, in compagnia degli amici più cari? Nelle allusioni e nelle accuse dirette Ana ha intravisto nel padre una figura spaventosa. Quello che per lei è un eroe e un genitore premuroso, per tutti gli altri è un criminale responsabile dei maggiori eccidi del dopoguerra: l’assedio di Sarajevo, la pulizia etnica in Bosnia, il massacro di Srebrenica. Crimini che lo porteranno a essere accusato di genocidio, in un processo che dopo una lunga latitanza ha avuto inizio nel maggio 2012.
Pochi casi come quello di Ana rivelano in tutta la sua oscura profondità una condizione, la perdita dell’innocenza, al tempo stesso individuale e collettiva. E Clara Usón, in un romanzo potentissimo che la consacra come una delle grandi autrici europee, si immerge in una vicenda di forza shakespeariana mantenendo un perfetto equilibrio tra i dati storici e la creatività letteraria, per scrutare nella follia del male, dell’amore, e orientarsi nel labirinto di un’infinità di voci e congetture raccolte in tre anni di ricerche. Memore della lezione di Javier Cercas, La figlia è un originalissimo ibrido di romanzo e documento con un’ampia galleria di personaggi storici come Slobodan Milošević e Radovan Karadžić, in cui la scrittrice riesce a combinare linguaggi narrativi diversi e a coniugare l’indagine rigorosa e l’arte della narrazione, la tradizione dell’epopea e la storia recente, per riflettere sul nazionalismo estremo, sulla manipolazione politica, sul mistero della malvagità umana
Questa è la nuova lettura del gruppo di lettura della biblioteca locale ed è stata tosta, molto tosta.
Innanzitutto io già conosco assolutamente poco questo periodo storico, gli anni dei conflitti nei Balcani. Avrò avuto circa cinque anni e quando si studia la storia a scuola è più o meno così quando si arriva al '900: sì, c'è la guerra fredda, cade il muro (e nasco io), un mezzo accenno a Ceausescu e "oh, l'11 settembre!". Se si è fortunati.
In più questo libro è difficile anche per come viene presentato. Ci vuole una concentrazione forte.
La storia comincia con una serie di video di una famiglia, poi si salta ad un episodio storico del 28 giugno 1389 tra serbi e turchi di una guerra condotta dal principe Lazar, poi si torna nel "presente" in cui troviamo dei ragazzi "jugoslavi" in viaggio a Mosca che iniziano ad alternarsi con capitoli complessi circa la formazione dei vari conflitti, i chi, i per come e vagamente i perchè.
Da perderci la testa!
Posso però dire cosa penso del romanzo...
Per prima cosa quanto è facile rintontire le masse.
Serbi, croati e musulmani hanno vissuto pacificamente per un periodo, ma è bastato un attimo e qualche cretino abile a manovrare le masse per mettersi tutti gli uni contro gli altri e creare un clima di odio e violenza pazzesco, nonchè guerre una dietro l'altra tra loro (non siamo a quei livelli, ma ricorda nulla?).
Da comunisti convinti, morto Tito, il vento è cambiato presto e grazie a qualche militare e burocrate senza scrupoli, le popolazioni si sono riscoperte religiose e nazionaliste (due grandi mali! O, se non altro, il principio possibile di mali che li seguono). Ed è tutto un "anima serba, siamo serbi, il popolo celeste..." e ci si concentra sui serbi e sull'odio per i croati perchè i croati collaborarono coi tedeschi e perchè i musulmani sono "sempre" stati nemici. L'ulteriore motivazione è che la protagonista è Ana Mladic' (sì, iniziavo anche io a chiedermi sta figlia 'ndo fosse andata), figlia del boia dei Balcani, serba nazionalista e convintissima circa le ragioni del suo popolo (solo santi, eh) che si scontra durante il suo viaggio a Mosca con le opinioni del mondo e dei suoi amici e connazionali riguardo la situazione e soprattutto suo padre, il suo mito.
E poi ci sono i capitoli che ho preferito, quelli che fino all'ultimo avevano un narratore misterioso per quanto "famoso" nel senso che è noto ai protagonisti, ma non si capisce chi sia. Ha fatto di quelle considerazioni al vetriolo sulla religione o sulla popolazione che diventa un branco di pecoroni come niente fosse che me lo hanno reso un mito.
Mi sono poi piaciute anche le considerazioni sul suicidio fatte da Ana riguardo Anna Karenina quando ne discute con un russo conosciuto in vacanza. Mi sta antipatica (gli estremisti mi suscitano mal sopportazione), ma quei pensieri mi sono piaciuti benchè estremi ed anche quelli del suo conoscente hanno un perchè che ho apprezzato.
Mi ha messo in difficoltà, ma non posso non dare un voto alto per il valore della scrittura che potrebbe anche essere uno sprone a conoscere meglio la storia slava. I popoli dell'est mi affascinano molto, non quanto quelli orientali, però ho anche un paio di lingue (non particolarmente inerenti al romanzo) che vorrei imparare.
Continuo a non aver capito molto della storia di quel periodo, a ricordare forse due nomi di tutto quel caos di generali, capi di stato e quant'altro, ma ho potuto fare delle mie considerazioni che forse prima non avevo proprio materiale e motivo di pronunciare.
E' inoltre scritto con competenza e senza termini eccessivamente ricercati, anzi l'autrice usa un registro pulito e chiaro. La difficoltà sta nel leggere fatti, relazioni, persone, storia e politica. Mi ha ingannato l'autrice con la sua nazionalità. Non che gli spagnoli (lei addirittura catalana) non possano essere scrittori circa argomenti duri, considerando la storia soprattutto dell'ultimo secolo, però non mi aspettavo questa perizia su un popolo lontano alla Usòn. Mi faceva sospettare un romanzo istruttivo, ma light. Certo, visto la sua appartenenza al popolo catalano avrei dovuto sospettare.
Innanzitutto io già conosco assolutamente poco questo periodo storico, gli anni dei conflitti nei Balcani. Avrò avuto circa cinque anni e quando si studia la storia a scuola è più o meno così quando si arriva al '900: sì, c'è la guerra fredda, cade il muro (e nasco io), un mezzo accenno a Ceausescu e "oh, l'11 settembre!". Se si è fortunati.
In più questo libro è difficile anche per come viene presentato. Ci vuole una concentrazione forte.
La storia comincia con una serie di video di una famiglia, poi si salta ad un episodio storico del 28 giugno 1389 tra serbi e turchi di una guerra condotta dal principe Lazar, poi si torna nel "presente" in cui troviamo dei ragazzi "jugoslavi" in viaggio a Mosca che iniziano ad alternarsi con capitoli complessi circa la formazione dei vari conflitti, i chi, i per come e vagamente i perchè.
Da perderci la testa!
Posso però dire cosa penso del romanzo...
Per prima cosa quanto è facile rintontire le masse.
Serbi, croati e musulmani hanno vissuto pacificamente per un periodo, ma è bastato un attimo e qualche cretino abile a manovrare le masse per mettersi tutti gli uni contro gli altri e creare un clima di odio e violenza pazzesco, nonchè guerre una dietro l'altra tra loro (non siamo a quei livelli, ma ricorda nulla?).
Da comunisti convinti, morto Tito, il vento è cambiato presto e grazie a qualche militare e burocrate senza scrupoli, le popolazioni si sono riscoperte religiose e nazionaliste (due grandi mali! O, se non altro, il principio possibile di mali che li seguono). Ed è tutto un "anima serba, siamo serbi, il popolo celeste..." e ci si concentra sui serbi e sull'odio per i croati perchè i croati collaborarono coi tedeschi e perchè i musulmani sono "sempre" stati nemici. L'ulteriore motivazione è che la protagonista è Ana Mladic' (sì, iniziavo anche io a chiedermi sta figlia 'ndo fosse andata), figlia del boia dei Balcani, serba nazionalista e convintissima circa le ragioni del suo popolo (solo santi, eh) che si scontra durante il suo viaggio a Mosca con le opinioni del mondo e dei suoi amici e connazionali riguardo la situazione e soprattutto suo padre, il suo mito.
E poi ci sono i capitoli che ho preferito, quelli che fino all'ultimo avevano un narratore misterioso per quanto "famoso" nel senso che è noto ai protagonisti, ma non si capisce chi sia. Ha fatto di quelle considerazioni al vetriolo sulla religione o sulla popolazione che diventa un branco di pecoroni come niente fosse che me lo hanno reso un mito.
Mi sono poi piaciute anche le considerazioni sul suicidio fatte da Ana riguardo Anna Karenina quando ne discute con un russo conosciuto in vacanza. Mi sta antipatica (gli estremisti mi suscitano mal sopportazione), ma quei pensieri mi sono piaciuti benchè estremi ed anche quelli del suo conoscente hanno un perchè che ho apprezzato.
Mi ha messo in difficoltà, ma non posso non dare un voto alto per il valore della scrittura che potrebbe anche essere uno sprone a conoscere meglio la storia slava. I popoli dell'est mi affascinano molto, non quanto quelli orientali, però ho anche un paio di lingue (non particolarmente inerenti al romanzo) che vorrei imparare.
Continuo a non aver capito molto della storia di quel periodo, a ricordare forse due nomi di tutto quel caos di generali, capi di stato e quant'altro, ma ho potuto fare delle mie considerazioni che forse prima non avevo proprio materiale e motivo di pronunciare.
E' inoltre scritto con competenza e senza termini eccessivamente ricercati, anzi l'autrice usa un registro pulito e chiaro. La difficoltà sta nel leggere fatti, relazioni, persone, storia e politica. Mi ha ingannato l'autrice con la sua nazionalità. Non che gli spagnoli (lei addirittura catalana) non possano essere scrittori circa argomenti duri, considerando la storia soprattutto dell'ultimo secolo, però non mi aspettavo questa perizia su un popolo lontano alla Usòn. Mi faceva sospettare un romanzo istruttivo, ma light. Certo, visto la sua appartenenza al popolo catalano avrei dovuto sospettare.
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