Pagine

28/12/17

Recensione de Il tallone di ferro di Jack London

Trama: Pubblicato nel 1907, questo romanzo di Jack London rappresenta un esempio insuperato di quello che potremmo definire "fantapolitica marxista" e, insieme, di chiaroveggenza, davvero senza eguale, sui destini della società capitalistica. Letto da generazioni e generazioni di giovani di tutto il mondo, Il tallone di ferro è uno dei più allucinanti e veridici affreschi della società dominata dal profitto, dipinta nella sua durezza senza scampo, nella sua oppressione generalizzata, nei suoi impliciti e inevitabili sbocchi di violenza e massacro. London già nel 1907, prevede la prima guerra mondiale - pur illudendosi che l'Internazionale socialista sarebbe riuscita a evitarla - e gli esiti che avrebbe avuto, vale a dire la svolta fascista. Il profeta lucido e impavido dello scarto storico tra le speranza dell'umanità e le condizioni con cui gli uomini si trovano a vivere è Ernest Everhard, l'eroe, il profeta, il combattente per la libertà - personaggio memorabile a cui deve il suo nome di battesimo Ernesto Che Guevara.

Amo la distopia, ma posso anche affermare di non conoscerla tutta ed Il tallone di ferro ne è un ulteriore esempio. Certamente non conosco quella d'antan.
Questo libro mi regala un autore controverso del secolo scorso, risultato di una vita travagliata. Sarà sempre un socialista nell'animo, sarà sempre dalla parte dei lavoratori e del proletariato, ma farà anche di tutto per tirarsi fuori dall'abisso della povertà. E sarà questa sua tenacia ad un certo punto a fargli parzialmente tradire i suoi ideali, a renderlo un incostante che predilige i forti pur non abbandonando i deboli nè le sue origini. Quest'opera è una di quelle che ancora ci permette di vedere il London dell'inizio, fedele a sè stesso ed ai suoi principi ed un'opera fenomenale che lo stesso Duce ha proibito di far circolare in Italia e che abbiamo riscoperto solo molto anni dopo (certo, è stato fatto circolare comunque clandestinamente).

Protagonisti indiscussi sono Ernst Everhard, il socialismo ed il proletariato in antagonismo all'oligarchia tramite la voce di Avis Cunningham, sua moglie. La storia verrà presentata sotto forma di manoscritto con note di testo di un commentatore esterno circa sette secoli dopo.


Ernst fu, nella storia del romanzo, uno dei più noti socialisti ed attivisti per la causa del popolo, nemico del capitalismo, delle oligarchie e del potere. Il suo incontro con Avis, alla tavola di suo padre, fu piuttosto acceso per lei come per gli altri commensali che si trovavano sopraffatti da questa personalità che metteva loro di fronte a questioni che non avrebbero voluto affrontare e che inizialmente rifiutarono, alcuni a prescindere. I più colpiti furono Avis ed il vescovo Morehouse. Entrambi vollero dimostrare che non era vero quanto Everhard diceva. Morehouse non poteva credere che la Chiesa fosse complice del capitalismo e ne perorò l'innocenza e l'ignoranza. Se davvero il popolo soffriva, si premurava di avvisare il clero. Avis invece non credeva che i suoi vestiti e la sua casa fossero costruiti sul sangue e si dedicò alle indagini del perchè un certo operaio non fu rimborsato in seguito ad un incidente sul lavoro che lei imputava a negligenza.

La prima considerazione, fuori tema, è la sorpresa di Avis perchè a ventiquattro anni si sorprende di non essere sposata. Al giorno d'oggi una sua coetanea si sorprenderebbe di non avere più il biberon.. Sì, sono cattiva, ma siamo passati da un eccesso all'altro! Cara Avis, rilassati...Hai appena passato la pubertà in realtà XD
A parte l'ironia inutile, questo libro è stato sorprendente ed appassionante. Mi ha fatto fare riflessioni scontate, ma su cui si si sofferma poco circa il capitalismo, il proletariato e la religione. La chiesa sa che esistono i poveri, ma serve chi ha il potere, ci campa. Eppure si professa di tutti, dovrebbe essere dei poveri come predica Cristo.

La lotta tra oligarchia/potere e socialismo si fa sempre più complessa, senza esclusione di colpi, difficile. Sembra sempre vincere il potere degli oligarchi, ma il socialismo non risparmia forze e nonostante prometta solo morte ed ideali (morte tanto a chi li affronta quanto a chi vi fa parte) tiene testa e prospera. Ambo le fazioni hanno infiltrati ed è difficile prevedere quale parte sarà in vantaggio. L'incredibile è che Everhard prevede tutto. Anche che gli operai dei principali settori si raggrupperanno in caste maggiori per salvarsi e che serviranno il potere.
Entrambe le parti si sentono nel giusto, l'oligarchia nella sua ottima organizzazione dove la buona condotta conta molto al pari di una religione e dà l'idea di essere i buoni. Anche i socialisti con il loro modo di fare cruento si sentono eroi, lottano per equità, giustizia e libertà. Il bello è che ci sono così tanti suicidi ed eroi per la libertà che sembra anacronistico. Certo, il potere si guarda bene dal martirizzarli. Ma i veri eroi, insegna anche la vita vera, sono rari. Qui, escluso chi spicca come Everhard, sembrano tutti eroi. Questo l'ho trovato poco realistico, ma ci sta nella narrazione.
Il romanzo, raccontato da Avis, ci dona solo il suo punto di vista. I personaggi non sono, secondo me, assai approfonditi se non nel modo in cui li vede lei e l'unico che approfondisce molto è il marito. Questa forse è una pecca, ma il romanzo regge ed è anche scritto in maniera molto scorrevole per quanto scritto nello scorso secolo e trattando un tema particolare.

Il finale non è un finale, è volutamente interrotto e ci lascia intendere, come all'inizio, cosa è poi effettivamente accaduto, però lascia un senso di vuoto, di sconfitta, negatività, disperazione. La sensazione che nulla migliorerà in questa eterna lotta che costa milioni di vite e che presenta inquietanti assonanze col mondo di oggi, diverso ma non distante dall'epoca in cui i fatti sono stati ambientati. E ci si chiede, io mi chiedo: Quanto sangue versato. E per cosa?


Nessun commento:

Posta un commento