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01/05/17

Recensione La ragazza dai sette nomi di Hyeonseo Lee


Trama: Come tutti i bambini cresciuti nella Corea del Nord anche Hyeonseo Lee pensa che il suo paese sia «il migliore del mondo». È una «brava comunista», studia le gesta leggendarie del Caro Leader Kim Il-sung, partecipa alle coreografie di massa organizzate dal Partito e crede che la Corea del Sud, l'acerrimo nemico, sia un paese poverissimo, pieno di senzatetto, dove la gente muore per le strade e gli odiati yankee si divertono a prendere a calci bambini e disabili. Per lei, proveniente da una famiglia della classe media «leale» nei confronti del regime, le cose cambiano all'improvviso quando, nel 1994, la Corea del Nord viene sconvolta da una terribile carestia. È allora, nel vedere molti suoi connazionali morire di fame o sopravvivere a stento cibandosi di erba, insetti e corteccia d'albero, che Hyeonseo, appena diciassettenne, comincia a interrogarsi sulla reale natura del proprio paese e a dubitare delle verità confezionate dalla propaganda. Ed è allora che si accorge che al di là del confine, in Cina, poco lontano dalla sua casa di Hyesan, le luci non si spengono mai. E che forse, dall'altra parte del fiume ghiacciato, un'altra vita è possibile. Comincia così la storia di una rocambolesca fuga da una dittatura spietata e corrotta, una fuga che la porterà dapprima a vivere da illegale nella Cina del tumultuoso sviluppo economico, e in seguito a Seul, la capitale del Sud, dove riuscirà a condurre anche la sua famiglia dopo un avventuroso viaggio di oltre duemila chilometri attraverso il Sud­est asiatico. Una fuga vissuta quasi interamente in clandestinità e fatta di lavori precari, di interrogatori da parte delle autorità, di mediatori senza scrupoli pronti a vendere a caro prezzo il sogno di transfughi disperati, di celle sovraffollate, di notti solitarie trascorse nel ricordo di un'infanzia in fondo felice e nella speranza di un futuro ancora tutto da scrivere. La ragazza dai sette nomi, però, non è soltanto la storia di una «diserzione» o una preziosa testimonianza su uno dei regimi più oscuri, oppressivi e sprezzanti dei diritti umani, o, ancora, il resoconto di una lotta per la sopravvivenza e per un destino migliore, che accomuna coloro che fuggono dalla povertà, dalle guerre e dalle dittature sanguinarie. Quello di Hyeonseo Lee è soprattutto il racconto della ricerca di un'identità. Un'identità a lungo celata dietro documenti fittizi, diversa a seconda dei luoghi e delle circostanze, negata per la paura di essere scoperta e rimpatriata. Un'identità che forse resterà solo un sogno, sino a quando non esisterà una Corea finalmente unita.

Questo è un altro libro che ho letto in seguito alla citazione in un articolo di giornale.
E' la storia di Hyeonseo Lee, ragazza nord coreana, della sua fuga da quella che altro non è che una dittatura per cui si lotta poco per debellarla dal mondo, come andrebbe fatto con altri governi empi.
Io credo che le siano occorsi anni per metabolizzare le cose, trasformarle in un libro, parlarne e che farà i conti fino alla morte con quello che ha dentro.
Chi vive in Corea del Nord, vive sotto una "Repubblica", in un regime socialista guidato ora da Kim Jung-Un e prima dal nonno Kim il-Sung e dal padre Kim Jong-il, che fa credere ai suoi, di fatto sudditi, che il suo capo di Stato ha a cuore tutti loro, che sono fortunati, che il resto del  mondo è cattivo, arretrato, che bisogna lavorare per la comunità, ascoltare direttive ed insegnamenti, che gli americani (gli yankee) sono perfidi, che i sud coreani sono quasi bestie e poveri da morire (falsissimo). Un nord coreano è chiuso, non affronta i sentimenti, si autocritica molto (un esercizio obbligatorio a scuola e nel lavoro), fa la spia perchè viene incoraggiato come comportamento ed infatti non ci si confida con nessuno, viene indottrinato al rispetto dei capi di stato. Quel che è peggio è che non si accorgono che la situazione è sbagliata e viene percepita normale. Ma come dice Hyeonseo, che negli anni si è formata ed informata sempre più, come si può essere consapevoli di avere dei diritti, di volerli esercitare se nemmeno si sa di averne, se è l'unica vita possibile, se non c'è possibilità di informazione ed un solo modello di comportamento? E comunque con la propria patria c'è un cordone ombelicale intranciabile.
 Chi fugge non può tornare indietro, le conseguenze sarebbero terribili. E una volta usciti non è finita perchè arrivare in Corea del Sud è un cammino irto di ostacoli. La Corea del Sud non  è sfavorevole all'immigrazione dei nordcoreani, ma fuori dai confini non ha poteri e gli stati dove transitano i transfuga sono ostili e cercano di rimandare indietro chi scopre, a meno che (e non sempre funziona) non compaia il denaro(no schifo..) e si sa che l'uomo è ricco in cupidigia. Comunque arrivati in Corea del Sud mica è tutto facile a partire dal percorso integrativo ai percorsi sociali.. I sudcoreani sono più accoglienti, non si vive col terrore del nord, ma c'è molta competitività e i sudcoreani guardano dall'alto in basso i nordcoreani, spesso considerati di basso livello. Eppure è lo stesso popolo! Nessuno capisce la crisi di un transfuga a livello d'identità, il caos, il dolore e la rottura che ne conseguono (questo credo valga anche per i nostri immigrati). Forse qualcuno non arriverà mai a patti con la propria psiche.
Tutte cose che Hyeonseo non avrebbe dovuto mai scoprire se non fosse uscita di casa per andare nel vicino villaggio cinese confinante, crimine che si paga a caro prezzo se scoperto. Giustamente Lee aveva voglia di scoprire qualcosa di nuovo, un pezzo di mondo mai visto e che mancasse ancora qualche giorno alla maggiore età era il momento migliore. Eppure qualcosa è andato storto e si è trovata a peregrinare per mezza Asia, col conseguente cambio di sette nomi per proteggere la sua vita e quella dei suoi cari. Tutto per un piccolo capriccio che le ha arrecato dolore e devastazione, ma che ha avuto il pregio di aprirle gli occhi e farle capire che c'era altro nel mondo, non solo il grigiore.



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