Pagine

22/04/20

Recensione di Lessico famigliare di Natalia Ginzburg

Trama: Una famiglia è anche - forse soprattutto - fatta di voci che s'intrecciano; è un linguaggio comprensibile solo a chi lo pratica, una rete di ricordi e richiami. Natalia Ginzburg, partita per rievocare il "lessico" della sua famiglia, gli intercalari dei suoi genitori e dei suoi fratelli, si è accorta presto che ciò che stava inseguendo era il quid misterioso che chiamiamo "famiglia". Abbandonati gli intrecci immaginari o trasfigurati per l'autobiografia diretta, l'autrice s'è trovata a muoversi con un'inaspettata libertà, un'inesauribilità, un allegro che rappresentano la sua riuscita più felice.

Ho avuto a lungo paura di leggere Lessico famigliare, lo ritenevo lontano ed incassessibile. Invece me lo sono letto con calma, ho assaporato tutte le pagine perché tra di esse mi trovavo a mio agio.
Si tratta delle memorie dell’autrice sin dalla sua infanzia fino all’età adulta, quando la famiglia si è trasformata in seguito alla crescita e ai matrimoni dei vari figli, alle vicende storiche di quegli anni.


Durante le prime pagine inveivo contro il padre di Natalia, uomo antipatico, nervoso, sempre pronto a lamentarsi ed arrabbiarsi, mai contento di niente in assoluto, particolarmente talentuoso nell’avere sempre male parole per chiunque, ignorante e razzista per un uomo della sua formazione (però è un tratto tipico dell’epoca avere certe idee, immagino, sono in pochi ad essere aperti mentalmente). Un uomo, in sintesi, straripante di complessi ed inibizioni.
Questa famiglia di origine triestina, ha cambiato spesso domicilio nel corso degli anni per i motivi più disparati.
Quel che più ho amato è la narrazione, molto curata per quanto semplice e non artefatta. Ogni riga sa proprio di racconto, quella narrazione di fatti familiari, manie, abitudini, episodi salienti delle famiglie. E’ la riproduzione di una geografia intima, di un lessico privato e che non appartiene ad altri.

C’è la madre dalle mani bucate e un po’ svagata, il padre burbero che costringe tutti ad austere vacanze in montagna, i fratelli che litigano tra loro.
L’unico difetto è che certi eventi sembrano troppo esterni. La parte politica, quella storica sono abbozzate. Le avrei volute più dettagliate. L’unica cosa che si evince è l’antifascismo della famiglia di Natalia e di chi li frequenta.
Per certi versi, la narrazione segue l’evoluzione di crescita dell’autrice. Infatti , da piccola la realtà esterna ha poca importanza. Anche quando appare, il fascismo sembra che non ci sia finché non diventa così ingombrante da rendere pericolosa la vita, o almeno molto difficile ed impervia.
Purtroppo noto, immagino come caratteristica italiana, l’abitudine sempre a guardare gli altri, a pensare a quel che potrebbero dire gli altri, almeno da parte dei genitori della Ginzburg, la quale, però, guarderà agli altri quando sarà sposa ed inesperta circa la gestione di casa.

E’ comunque un ritratto dell’epoca interessante. Benché non venga mai nominato, conosciamo il direttore dell’Einaudi, ma ci vengono anche presentati Leone Ginzburg e Cesare Pavese, maggiormente quest’ultimo devo dire. Sono personaggi importanti nella  nostra storia.

Quel che mi salta agli occhi è che la vita era più semplice, tutto era più duraturo, sia nel lavoro che nelle relazioni benché non certo rosa e fiori. Oggi trovo tutto molto più effimero e solo apparentemente facile.

Non posso che consigliare questo volume che è più apprezzabile da adulti che da giovanissimi.

La lettura è stata scelta come concatenata della challenge Viaggio nel caos col filo conduttore della famiglia poiché ho letto, precedentemente, L’isola delle madri di Maria Rosa Cutrufella, il cui perno è la figura della madre.

Nessun commento:

Posta un commento