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23/04/20

Recensione de La malalegna di Rosa Ventrella

Trama: Teresa e Angelina sono sorelle diverse in tutto: tanto delicata, schiva e silenziosa è Teresa, la voce narrante di questa storia, quanto vitale, curiosa e impertinente è Angelina, la sorella più piccola. Siamo all'inizio degli anni Quaranta a Copertino, nelle Terre d'Arneo, un'immensa distesa di campi coltivati nel cuore della Puglia. Qui, Teresa e Angelina crescono in una famiglia di braccianti, povera ma allegra e piena di risorse: i nonni sono dei grandi narratori, briganti, lupi e masciare diventano vivi nei loro racconti davanti al camino, mentre la madre Caterina ha ricevuto in sorte una bellezza moresca, fiera, che cattura gli sguardi di tutti gli uomini, compreso quello del barone Personè, il latifondista più potente del paese. "La tua bellezza è una condanna" le dice sempre nonna Assunta. Una bellezza - e una condanna - che sono toccate in eredità ad Angelina. Quando il padre parte per la guerra lasciando sole le tre donne, Caterina per mantenere le figlie non ha altre armi se non quella bellezza, ed è costretta a cedere a un terribile compromesso. O, forse, a un inconfessabile desiderio. È qui che comincia a essere braccata dalla malalegna , il chiacchiericcio velenoso delle malelingue, un concerto di bisbigli che serpeggia da un uscio all'altro e la segue ovunque. Questa vergogna, che infetta tutta la famiglia, avrà su Angelina l'effetto opposto: lei, che non sopporta di vivere nella miseria, inseguirà sfacciatamente l'amore delle favole. Anche a costo di rimanerne vittima. Sono la nostalgia e il rimpianto a muovere con passo delicato la voce di Teresa, che, ricostruendo la parabola di una famiglia, ci riconsegna un capitolo di storia italiana, dalla Seconda guerra mondiale alle lotte dei contadini salentini per strappare le terre ai padroni nel 1950.


Questo romanzo è stato ambientato in Puglia, le vicende descritte hanno origine dal secondo conflitto mondiale.

La voce narrante è Teresa Sozzu, una giovane che per tutta la vita ha vissuto all’ombra della bellissima sorella Angelina e che, in questo romanzo, si assume il ruolo di narratrice delle vicende di famiglia.

La loro vita è quella di povera gente, braccianti, lavoratori. Si farà ancora più dura quando il padre verrà chiamato in guerra, costringendo la madre Caterina a cercare i favori del barone Personnè, nobile ed uno dei maggiori proprietari terrieri di Copertino. Tutto ciò avrà un impatto nascosto su entrambe le figlie ed accenderà le malelingue del paese che non possono che chiamare in un modo certi atteggiamenti.

Saranno anni che lasceranno il segno, indurendo ancora di più la gente che è abituata ad essere essenziale, a non esprimere i sentimenti, a non concepire ciò che non può avere, al contrario di Angelina che vuole un’altra vita, in netta contrapposizione alla sorella riservata che vive senza pretese e che, se ne ha qualcuna, la tiene nascosta come un segreto. Miseria e briganti saranno i maggiori protagonisti.
La fine della guerra non segnerà una ripresa, ma un focolaio perché la gente non vuole più fare la fame. Sarà l’epoca delle rivolte agrarie contro i padroni, dei disordini e dei dolori inflitti alla povera gente per una lotta giusta.

La lettura di questo libro non mi ha edificata e non penso lo porterò a lungo nel cuore, ma la scrittura dell’autrice è evocativa. Sa trasportare nel passato, farci ritrovare a Copertino nell’abitazione dei Sozzu come tra la folla nelle occasioni di ritrovo paesane, ci affacciamo su un’epoca e luoghi molto distanti da noi ed assaporiamo cosa significhi viverla, nel bene e nel male.

Comprendiamo che le vite grame dei lavoratori sono dure, una prigione, ma possono esserlo anche le vite dorate e luminose, da fuori, di chi è ricco e se la passa bene. Certamente si tratta di sofferenze diverse, ma non esistono esistenze felici e perfette nemmeno se si nasce lontano dalla miseria.

Leggendo mi è venuto spesso in mente Fontamara di Ignazio Silone che ritrae con cognizione di causa il periodo storico poiché è narrato da chi è vissuto in quegli anni. La malalegna ha un linguaggio più accessibile ad una mente moderna, benché entrambe le opere siano ottime porte del tempo per un passato lontano ma che non andrebbe dimenticato.

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