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02/08/19

Recensione de La pioggia prima che cada di Jonathan Coe

Trama. La zia Rosamond non c' è più. È morta nella sua casa nello Shropshire, dove viveva sola, dopo l'abbandono di Rebecca e la morte di Ruth, la pittrice che è stata la sua ultima compagna. A trovare il cadavere è stato il suo medico. Aveva settantatré anni ed era malata di cuore, ma non aveva mai voluto farsi fare un by-pass. Quando è morta, stava ascoltando un disco di canti dell' Auvergne e aveva un microfono in mano. Sul tavolo c'era un album di fotografie. Evidentemente, la povera Rosamond stava guardando delle foto e registrando delle cassette. Non solo. Stava anche bevendo del buon whisky, ma... Accidenti, e quel flacone vuoto di Diazepam? Non sarà stato per caso un suicidio? La sorpresa viene dal testamento. Zia Rosamond ha diviso il suo patrimonio in tre parti: un terzo a Gill, la sua nipote preferita; un terzo a Stephen, il marito di Gill; e un terzo a Imogen. Gill e Stephen fanno un po' fatica a capire chi sia questa Imogen, perché prima sembra loro di non conoscerla, poi ricordano di averla vista solo una volta nel 1983, alla festa per il cinquantesimo compleanno di Rosamond. Più di vent'anni prima, dunque. Imogen era quella deliziosa bimba bionda di sette o otto anni venuta con gli altri a festeggiare la padrona di casa: una bimba dolcissima e silenziosa, che si muoveva quasi furtivamente. Sembrava che avesse qualcosa di strano. Sì, era cieca. Occorre dunque ritrovare Imogen per informarla della fortuna che le è toccata. Ma per quanti sforzi si facciano, Imogen non si trova. E allora non resta - come indicato dalla stessa Rosamond in un biglietto scritto prima di morire - che ascoltare le cassette. Le cassette incise dalla donna mentre sfogliava l'album di fotografie selezionando le venti istantanee in cui poteva compendiarsi la sua vita.... 

Se Coe come narratore mi piace, finora non avevo però trovato il suo libro capace di farmi impazzire.
Questo volume ci presenta la storia di Rosamond, anziana signora inglese, che lascia delle cassette, che contengono le sue memorie, ad una certa Imogen. Poiché è irrintracciabile, il compito viene affidato a Gill, sua nipote. La tentazione però è tanta e Gill, assieme con le figlie Catherine ed Elizabeth, ascolta le registrazioni, scoprendo una storia più complessa del previsto.

Il genio di Coe si trova nella scelta di descrivere la storia tramite venti fotografie significative che Rosamund sceglie e di cui racconta tutti i retroscena. Partiremo proprio dall’inizio, dagli anni ’30-‘40 e dalla sua amicizia poco equilibrata con la cugina Beatrix, parecchio manipolatrice, ma vittima di una madre algida e perfida.
Non avrei mai immaginato quel che avrebbe rivelato il racconto delle foto. Mi ha molto sorpreso. Ho provato emozioni contrastanti: stupore, dolore, comprensione, rabbia. Gioia ce n’è ben poca in questa storia, quel che si ripete è la ciclicità di eventi e negatività. Infatti, a partire da Beatrix, verremo messi a parte del rapporto malato, cattivo con sua madre che si tramanderà perché l’anaffettività, la mal sopportazione e la cattiveria verso le proprie figlie non possono portare a qualcosa di buono, guastano chi riceve solo sentimenti negativi in una crescente spirale di malessere.
Rosamund, in tutto questo, è una donna troppo idealista, una spettatrice che si rende vittima degli eventi, senza provare realmente a cambiarli, troppo pavida anche per ammettere la sua predilezione verso le donne, motivo per cui ha anche avuto scontri con le sue partner, ridimensionate da questo suo riserbo verso gli altri. Non ha torto, ma sembra voler dire “io non potevo fare niente”. Se vedi qualcosa di estremamente grave o subisci un torto, non puoi tacere, non così.

Questo libro è un bel ritratto della campagna inglese dal dopoguerra e della società del luogo che è cambiata nel tempo.
Coe è un maestro ed il suo stile è eclettico. Stavolta ci delizia con delle foto ed immedesimandosi in una signora anziana che evoca ricordi. Tutto ha sempre un senso per arrivare a chiudere il cerchio, almeno quello principale. Le domande più o meno minori stanno a noi. Così come la sensazione che, alla fine, non sappiamo in quale proporzione, ma la storia tende a ripetersi.

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