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02/05/19

Recensione di Figli del diavolo di Liliana Lazar

Trama: Elena Cosma è sgraziata, mascolina, tutt’altro che bella. Vive da sola a Bucarest e lavora come ostetrica in ospedale. Da tempo ha rinunciato all’idea di sposarsi ma non a diventare madre. La sua occasione si presenta sotto le sembianze di una bellissima donna dai capelli rosso fuoco. Zelda P. ha appena perso il marito, ha già due bambini piccoli e non se la sente di allevarne un terzo, ma nella Romania degli anni Ottanta le donne con meno di quarantacinque anni non hanno il diritto di abortire se non hanno dato alla luce almeno quattro figli. L’accordo è presto stretto: Elena fingerà di essere incinta e Zelda le cederà il suo bambino in cambio di denaro. Per i primi anni tutto fila liscio, finché le visite sempre più frequenti di Zelda costringono l’ostetrica a fuggire a Prigor. Proteggere Damian è diventata un’ossessione, ma anche in quel paesino sperduto della Moldavia nascono i sospetti: Damian è bello, delicato e ha i capelli di un rosso acceso. Madre e figlio non si somigliano affatto. Elena scende a compromessi, inizia a lavorare nell’orfanotrofio da poco inaugurato, dove i bambini abbandonati, i «figli del diavolo», vengono vessati senza pietà. La sua coscienza sussulta, ma l’importante è tenere Damian al sicuro, perché lui non è un figlio del diavolo, no, lui è un «figlio di Dio». «Figli del diavolo» è un libro sugli abusi, sull’orrore perpetrato a danno dei più deboli nell’indifferenza generale, ma anche una riflessione spietata sulla natura umana, sul momento in cui la morale cede di fronte agli interessi personali. E non esiste redenzione.

11 mesi! 11!!!
No, non sto dando i numeri, ma è stato il tempo di attesa per avere in mano questo libro che, giustamente, devo restituire a tempo record perché non rinnovabile. Che sia atteso da qualcuno che lo  ha aspettato tanto a lungo come me e non molla, giustamente, l'osso?


Perché ero tanto ossessionata dal libro? Non lo so. Però quando ho letto  Romania, politica dei figli, ostetrica nubile e senza figli, orfanotrofio e via dicendo, ogni pezzo mi ha stuzzicata.


Tutto comincia con Elena Cosma, ostetrica di Bucarest, che a 35 anni è ancora single e non è madre. Si potrebbe dire che la colpa è del suo aspetto trasandato e mascolino e forse potrebbe anche essere vero, le persone sono piene di pregiudizi ora, figurarsi alla fine degli anni '70
Numerose sono le donne che non vogliono un altro figlio, nonostante la legge le obblighi a fare almeno 4 figli, poi aumentati a 5, per la patria. Qualsiasi tentativo di aborto o contraccezione sotto la soglia minima è da considerarsi reato e pertanto va denunciato. Ma sarà grazie a queste disgraziate che spesso abbandonano i figli in ospedale dopo il parto che Elena ha l'occasione di avere un figlio suo. Zelda, giovane vedova, vorrebbe liberarsi del suo terzo bambino. L'ostetrica non può soddisfare la sua richiesta, però convince la donna incinta a cederle il figlio, fingendo una gravidanza per farlo passare come suo.
Ovviamente, negli anni Zelda ha cercato il contatto di suo figlio, portando Elena a temere che se lo volesse riprendere ed a fuggire, andando a lavorare al capo opposto della Romania, a Prigor, in Moldavia, dove col suo arrivo molte cose cambieranno, fino ad arrivare all'apertura di un orfanotrofio.

Questo romanzo ha uno stile narrativo asciutto ed essenziale, scarno perfino. Ricalca la vita del tempo, quando, sotto il comunismo, tutto era molto "semplice": si lavora, si serve il Partito e la comunità. Non c'è altro. Le trasgressioni? Represse.
Però ha uno stile incalzante, la storia vola anche perché essenziale, ma al contempo colpisce per certe affermazioni dolorose. Ad esempio la confessione di un ospite dell'orfanotrofio spacca il cuore.

Gli orfanotrofi non sono ben visti e sono sconvolgenti. Già quelli nostrani e del nostro tempo non funzionano a dovere, ma qui fanno ribrezzo tanto gli educatori sono violenti o inadeguatissimi al loro ruolo e lascia di sasso come debbano vivere questi ragazzini soli. I loro comportamenti non consoni sono forse capiti? Macché, magari puniti e repressi. Non credo fosse tanto diverso qui, basti pensare ai manicomi, ma la qualità della vita è più dura e si nota.

Basta poco però a farci capire come questi anni siano l'equivalente della preistoria: l'ostetrica, appena arrivata in paese ha dovuto faticare a farsi accettare e creare una routine lavorativa in mezzo a gente che ritiene medico il sindaco e veterinario del posto. Un ascesso è opera del malocchio, per dire. Se c'è necessità si va dal "veterinario".

I personaggi sono figli del loro tempo: duri, essenziali, considerati normali anche se violenti ,visto che vige la legge del più forte, o inflessibili. I deboli vengono sottomessi, non c'è spazio per loro. Vale per tutti.

Mi ha colpito però da parte di Elena come da parte del contesto delle adozioni internazionali, quando se ne parla, di come sia importante per le persone avere un figlio "sano e privo di tare ereditarie "(tra cui non solo difetti fisici ereditari, ma anche vizi dei genitori). Capisco trovare difficile crescere un figlio con gravi problemi, ma qui rasentiamo il disgusto. Forse sono solo troppo figlia della mia epoca piena di pregiudizi ed al contempo di diritti civili ed umani.

Questa lettura si è rivelata ben calata nella realtà e nell'attualità dell'epoca, affrontando anche quanto accaduto in seguito a Chernobyl, e inaspettatamente emozionante, in particolare verso le ultime pagine che però terminano con un criminale finale, interrotto bruscamente e volutamente. Elemento che mi ha fatto aumentare leggermente il voto a questo romanzo, è stato l'aspetto decisivo.

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