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14/02/19

Recensione di Islam in Love di Rania Ibrahim

Trama: La storia d’amore e passione proibita tra Laila, anglo-araba velata, di fede musulmana, e Mark, non musulmano, figlio di un leader di partito di estrema destra della città di Dover. Laila si racconta con tutte le sue contraddizioni ed insicurezze, schiacciata tra due culture tra loro distanti. Il sesso, seppure proibito, sarà il territorio che i due protagonisti varcheranno con naturalezza e con la sfrontatezza dei loro diciotto anni. Esploreranno i mondi sommersi che custodiscono nei loro cuori, pronti ad affrontare un intimo scontro di civiltà. Laila e Mark si spoglieranno completamente dei loro simboli, dogmi insindacabili per la nostra società, amandosi al di là di questi.

Ci ho messo un pò a decidermi a leggere questo libro.
E' stata una delle proposte che non ha vinto durante il voto della nuova lettura delle Personal Book Shopper, qualche mese fa.
Poi il destino ci ha messo lo zampino...

Ho fatto così conoscenza di Laila che a noi viene presentata quando ha circa dodici anni, quando si trova alle prese con la sua prima mestruazione.
Il primo menarca è sempre problematico, almeno per molte ragazzine, sempre per un motivo diverso. Nel caso di Laila ancora di più. La ragazzina infatti è inglese, ma anche musulmana, araba ed egiziana, poco conta che si senta principalmente inglese e credente. La madre poi è incapace di amarla e di darle il minimo conforto, questo primo ciclo viene visto come l'occasione di affossare la vita di questa bambina che, tutto sommato, si sente indipendente e col futuro davanti. D'ora in poi per lei esisteranno solo ciò che è halal - lecito, haram - proibito e haya - pudore/onore, le tre H. Tutto ruoterà attorno al suo imene, in sintesi.
Però qualche anno dopo la giovane si innamora, durante l'ultimo anno di scuola, di Mark, coetaneo non solo inglese e non musulmano, ma pure figlio del leader di estrema destra di Dover (e fonte di nervi perché è profondamente immaturo e snervante).
Sarà finalmente l'occasione di riaprire un dialogo con sé stessa, di conoscersi e riprendere in mano la propria vita, di svegliare una volontà messa a forza in letargo.


Questo romanzo presenta più difetti. La storia poteva avere un centinaio di pagine in meno.
L'inizio è interessante, non mi aspettavo che tutto andasse così a ritroso nel tempo per introdurre quanto necessario allo svolgimento degli eventi. Purtroppo si arena tutto in fretta perché fino a tre quarti è tutto prevedibile, noioso, mi aspettavo qualche fregatura perché ho trovato le cose monotone, tanto da essere sospette.
Poi si arriva alla fine, le ultime cento pagine, in particolare quando ne mancano cinquanta e prendiamo fuoco, non per la passione, non solo, ma per la rabbia, culturale e letteraria, quest'ultima perché la storia ha un finale aperto che, d'accordo, mi posso immaginare a piacere, rimanendo comunque insoddisfatta visto che le sorti degli attori in scena vengono sospese brutalmente.
Anche la scrittura non è questo granché. Si legge tutto facilmente, però lo stile è spesso statico, un pò ingessato, non sempre fluido ed ho notato vari difettucci, come frasi iniziate e frammentate da virgole, ma non concluse se non in una frase successiva. Per i difetti spero sia colpa dell'editore nelle fasi finali del lavoro. Per non parlare dei personaggi. Sono tutti macchiette sullo sfondo, contano solo Laila e Mark che sono due adolescenti, con tutti i pregi, difetti ed ormoni del caso. Almeno io non ho trovato una buona caratterizzazione.

Ma dove, a mio giudizio, ci sono mancanze narrative e di stile, l'autrice compensa con i contenuti.
A fine libro c'è la voglia violenta di un dibattito. Giuro che sono andata a letto col cuore spaccato, dolorante. Stavo male, ero arrabbiata, ferita, addolorata.
Quindi sì, il libro non è obiettivamente un capolavoro, ma sa smuovere dentro.
Pone tutto in discussione. E' giusto occidentalizzare? Si deve fare sempre e comunque? A mio avviso no, soprattutto se il cambiamento non viene dal profondo di chi deve praticarlo e non subirlo. Ma come fare con chi è cittadino britannico, o di altra nazionalità acquisita, ed al contempo non accetta le consuetudini occidentali, separando con forza usi e costumi del paese di accoglienza, spesso haram, e quelli della nazione di origine? Cosa ne è di quei figli che sono spaccati tra famiglia e società reale d'appartenenza? Cosa si può fare? Sono domande di difficile risposta e qui Laila ci mostra la sua storia, le risposte e le numerose domande che scaturiscono dalla sua vita e dalle sue esperienze.
Da atea, pur praticando una notevole apertura verso gli altri, almeno mi auguro, la rabbia per certe mentalità è tanta quando si leggono le spiacevoli conseguenze per chi vuole sottrarsi dalla rigidità religiosa che, un tempo, era nota anche al popolo cristiano.
Mi è piaciuta quella che immagino essere una considerazione della scrittrice: spesso, chi è così chiuso, anche più dei connazionali rimasti in patria, agisce così perché è meno istruito, ha vissuto in grande povertà, in condizioni di arretratezza culturale ed il cambiamento ha scatenato paura che è sempre abbondante quando si cambia per l'ignoto e per quanto si sa già essere molto lontano da noi. La religione poi non aiuta mai, soprattutto quando è ricca di paletti, divieti ed oppressioni considerati giusti e che rendono abbastanza ipocrita quanto c'è di buono (nel caso della religione islamica, ad esempio, la cura della puerpera).

Non mi aspettavo tutto questo quando ho iniziato la lettura ed è stato un grande regalo.

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