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19/12/18

Recensione di Ninna Nanna di Leila Slimani

Trama: Quando arriva il secondo figlio Myriam decide di riprendere la sua professione di avvocato. È una scelta ragionata, discussa a lungo con il marito Paul, ma imprescindibile. La selezione di una tata per Mila e Adam è severa e difficile, ma le cose cambiano quando nel loro appartamento arriva Louise: luminosa, solare, dolce, subito adorata dai bambini. La donna si guadagna la gratitudine di Myriam e Paul e l'affetto incondizionato dei piccoli, trasformando mano a mano il suo rapporto coi bambini in una dipendenza che, come tutte le dipendenze, diventa sempre più eccessiva. Fino a incrinarsi e poi deragliare rovinosamente. Un'escursione chirurgica negli abissi dell'emotività umana che ci mette di fronte ad alcune delle più recondite paure di ogni genitore, di ogni uomo e ogni donna.

Ninna Nanna di Leila Slimani è un libro che colpisce sin dalla prima frase ed il titolo, a fine lettura, è tanto agghiacciante quanto perfetto.
Avviso che ne è scaturito un papiro, però non ho potuto farne a meno!

Myriam è una giovane avvocatessa di Parigi che ha dovuto fermare la sua carriera dopo la nascita dei figli, convinta, all'inizio che le cose non sarebbero cambiate e poi che stare a casa coi figli la riempisse.
Non è così e quando si presenta un vecchio compagno di studi, Pascal, e le propone di lavorare con lui, lei coglie al volo l'occasione e si impone sul marito Paul. Vuole tornare a lavorare.
Si pone la questione: e i bambini? Occorre trovare una tata.

Dopo vari colloqui la scelta cade su Louise, minuta signora francese, che colpisce subito la famiglia. E' praticamente stata scelta da Mila, la figlia maggiore. Questa bambinaia, ottimamente referenziata, è perfetta: ha conquistato i bambini, cucina benissimo, sistema la casa ed anticipa i desideri dei suoi abitanti. Tutti la invidiano a questa famiglia.

Quel che sorprende è che la lettura fila sin dalle prime parole e trascina fino al finale con la voracità tipica del lettore coinvolto.
I temi affrontati sono molteplici e potenzialmente polemici.
Spesso ci si schiera: carriera o famiglia, l'uno a scapito dell'altro. O semplicemente si sceglie uno e si esclude l'altro a priori, senza conflitti d'interesse.
Myriam era una donna ambiziosa che però inizialmente si sacrifica per la famiglia e ne è anche appagata. Col secondo figlio si sente come se le "succhiassero il sangue", vorrebbe vivere, respirare, tornare se stessa. Invidia quel marito che esce al mattino e rientra alla sera, proprietario di una vita e di una carriera. Dunque ama i figli e contemporaneamente "se ne vorrebbe liberare". Quando torna a lavorare e si trova soddisfatta di Louise la vita le sorride. Anche il marito ne è felice, migliora la vita di tutti, anche se Mila ed Adam diventano dei bambini abbandonati a sé stessi come molti coetanei del giorno d'oggi. Non dovranno più andare a lavorare a dieci anni, ma il male de secolo è essere sballottati ovunque perché i genitori devono lavorare, lavorare, produrre, far carriera. Si sedano i sensi di colpa a suon di vizi.
Quindi c'è uno scontro tra le mamme in carriera e le casalinghe, poche veramente soddisfatte della propria condizione perché ognuna ha pregi e difetti. Lo dico con cognizione di causa. Non sono mai stata in carriera, ma lavori e ti senti in colpa perché non hai tempo per i figli che ti mancano e per la casa, che è sempre un disastro, non lavori e la gente pensa che tu faccia la bella vita quando non hai comunque un tempo per te perché devi stare dietro a casa, bambini e cavoli vari, difficilmente sei l'angelo del focolare, wonder woman e rimani pure pura, carina e dolce. Non devi andare a lavoro, dunque ti devi arrangiare da sola e non delegare quasi mai. La depressione non è contemplata perché stai dietro alle tue creature. Cosa c'è di meglio? Dipende dalla donna, ma la realtà è che non è tutto rosa e fiori nemmeno per chi sceglie questa strada con convinzione.

Un altro capitolo interessante è il senso di superiorità di chi si sente al potere. Emma, l'amica di Myriam, supponente le consiglia di trovare una donna coi figli al loro paese d'origine perché altrimenti è una complicazione. La lavoratrice non può fare straordinari e se i figli si ammalano non può venire quei giorni lì. Loro si indignerebbero non fossero assunte per questi motivi. Capisco la sicurezza di assumere personale in regola, ma quella è una discriminazione in piena regola!
Quando si è dalla parte giusta della barricata quasi sempre ci si sente in potere di fare e dire tutto.
E' interessante che Myriam non voglia assumere donne di origini arabe perché non si fida  della solidarietà tra immigrati. Teme di rimanerne invischiata.
Io comunque Emma la detesto. Una spocchiosa bianca come tante. Manda i figli alla scuola privata perché teme che tornino a casa venerando Allah. Spero che i figli frequentino una scuola laica perché sulla religione avrei ben più di qualcosa da dire! Myriam è appena più "sana", se non altro è sobria.

Louise invece non si inquadra. E' una donna debole, succube, sottomessa, è forte e debole assieme. Sa andare avanti con forza, ma non ha volontà e non sa imporsi. Si intuisce che è sempre stata indigente, che la sua ossessione è sentirsi utile, ma anche non sprecare nulla, che ama i piccoli, che cerca il suo posto e che si lascia vivere.
Mi ha agghiacciato una signora che ha rischiato di metterla nei guai per il semplice gusto di farlo. Non aveva torto, ma sembrava determinata a rovinare la vita a Louise. E quante persone così esistono?

Si parla di rapporto suocera-nuora che spesso sono tesi, comunque non esattamente facili.
Altri temi seri sono le reazioni dei datori di lavoro davanti alle gravidanze, la disumanità di alcuni proprietari nei confronti delle persone cui affittano, la supponenza delle famiglie che assumono donne straniere, le reazioni tanto sproporzionate quanto blande nei confronti degli errori dei lavoratori (Myriam e Paul si sono alterati qualche volta con Louise, rientrando subito nelle righe e ingessati in una sorta di dolore per l'escandescenza. Altri invece ne farebbero questioni di stato), di rapporti coniugali non esattamente rosei ed in alcuni casi pessimi e deterioranti.
Un tema poco affrontato è quello dei sentimenti contrastanti che investono anche i papà. Secondo me per una donna è tutto amplificato, ma è un cambiamento anche per l'uomo. Certo, la reazione di Paul mi sembra un pò puerile e mi fa dire "ma tirati su le maniche e datti da fare!", però posso capirlo.

Questa lettura per me è stata coinvolgente ed i salti temporali sono giustificati, se non altro sensati, ben congegnati. Tanto il finale è "rovinato" sin dalle prime righe perché ci viene spiattellato ed è proprio come si teme, non è una falsa pista, come di solito piace a me. In ogni caso questo dettaglio non rovina il romanzo.
E ci fa chiedere cosa sia un raptus. Ne parlavo in famiglia ed è venuto fuori, non ci metto le mani sul fuoco perché non sono esperta né laureata in materia, che non esiste e posso dire, per me, che forse è vero. Per perdere la testa c'è tutta una situazione personale e mentale pregressa che porta al punto di rottura ed alla perdita di ragione e controllo.
La storia è assolutamente verosimile, il finale è da pelle d'oca anche se non aggiunge nulla, anzi non ho avuto le risposte che volevo sulle motivazioni del personaggio incriminato, ma solo cosa ha portato ai fatti. Lo svolgimento, già crudele da immaginare comunque, è effettivamente meglio non leggerlo, ma almeno capire cosa sia successo sarebbe stato interessante.
In ogni caso questo libro è già intenso così.


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