Trama: «Nessuno può immaginare il dolore che si prova con il corpo in fiamme. Un dolore atroce, profondo, che non si dimentica più.» Suad, giovane cisgiordana, sta facendo il bucato nel cortile di casa quando sente sbattere una porta alle sue spalle. È il cognato, che le rivolge una frase scherzosa. Suad si volta per replicare ma, all'improvviso, il suo corpo è intriso di un liquido freddo che in meno di un secondo diventa fuoco. Bruciata viva, è questa la punizione inflittale dalla famiglia, lesa nel suo onore, per aver commesso il peggiore dei peccati, essere rimasta incinta prima del matrimonio. Perché nel villaggio in cui è cresciuta le donne non possono andare a scuola, non possono vestirsi come vogliono, non possono guardare un uomo negli occhi. Il loro destino è occuparsi delle mansioni più umili, al servizio di padri e mariti. Nonostante le ustioni di terzo grado che la ricoprono, Suad riesce a salvarsi. Con l'aiuto di un'organizzazione umanitaria fugge in Europa. Da qui, con indosso una maschera che protegge e nasconde il suo viso deturpato dal fuoco, racconta al mondo la sua storia, sfidando la legge degli uomini e la loro sete di vendetta.
Qui in Europa siamo bravi con le belle parole, nel bene e nel male. L'Italia, che io vivo di cui quindi posso parlare, ultimamente sta dando il meglio di sè col male.
Nessuno (poche persone in caso) credo possa dire di aver vissuto quel che ha vissuto Suad, nome di fantasia per proteggere la sua identità e meglio per lui. Ma sapere che lei qui nel nostro continente ed è salva, ha una vita piena, mi rincuora.
Il racconto comincia a spizzichi e bocconi sulla vita in Cisgiordania, una vita agricola, semplice, almeno nel villaggio di Suad. Sembra bello, pittoresco. Una vita naturale ed è ritenuto naturale anche che le donne siano nulla, che solo gli uomini contino, uomini che ti possono riempire di botte, se non anche ammazzarti, quando vogliono e per qualsiasi motivo, anche averci messo troppo a scaldare il tè o aver fatto cadere una goccia di latte, singola.
Basta nulla per essere definita charmuta, figlia di puttana. Anche solo alzare lo sguardo. Vietato uscire da sole, ogni passo è sorvegliato.
Suad però compie un'azione imperdonabile e viene bruciata viva dal cognato, per ripristinare l'onore della famiglia. E' viva per miracolo e per l'ostinazione di una donna che lavora nel campo umanitario che ha compiuto l'impossibile. Due eroine: Suad per la forza di tornare a vivere e Jacqueline per i rischi e le difficoltà incontrare per aiutare la giovane cisgiordana.
Allora inizia ad avere percezione di sè, del mondo, di tutto quel che non sapeva e del fatto che non è normale vivere nella paura, nella consapevolezza che potresti essere uccisa, nel gioire nel pensare a tuo padre malato, ferito, morto. Vivere così rende bestie, non esseri umani, non si può pensare. E la concezione è davvero questa. Suo padre le diceva che il bestiame è utile, porta soldi, le donne no, sono solo bocche da sfamare e vengono trattate meno degli animali.
Una vita che lascerà fino alla morte il marchio su chi l'ha vissuta ed è scampata ad una morte atroce. Suad ha lottato e sicuramente lotta ancora per una vita normale, ma i vuoti di memoria, gli incubi, la sofferenza, la paura torneranno sempre a farle visita. E' difficile per lei solo uscire di casa perchè è praticamente ustionata in tutto il busto superiore, deve coprirsi tutto l'anno e vivere nel disagio fisico e mentale.
Il racconto infatti può risultare confusionario. Ed è anche troppo organico ,considerando ciò che ha subito questa donna, che vive con accortezze perchè sa che potrebbe ancora essere rintracciata, se solo la sua famiglia sospettasse della sua sopravvivenza.
Sicuramente se avessi continuato gli studi universitari, avrei fatto di tutto per lavorare nel campo umanitario. Odio le ingiustizie. Sarei una Jacqueline che strappa i sofferenti per aiutarli a vivere una vita migliore in Europa. Sono facilonista? Non mi interessa. Non ci si può girare davanti a queste situazioni. Come si può restare indifferenti?
La rabbia che si prova è tanta leggendo questa storia, capisco la rabbia di una delle sue figlie che andrebbe ad uccidere i parenti della madre. Ci sarebbe tanto di quel lavoro da fare...Occidentalizzare è sbagliato, ma è sbagliato anche trattare così gli esseri umani, in questo caso le donne. Occorrerebbe lavorare sul rispetto delle persone ed aprire le frontiere, altro che chiuderle. Magari usando la testa.
Tutto questo, non dovrebbe, deve finire.
Spero che la storia di Suad aiuti vittime di violenza a cercare di uscirne, stimoli le organizzazioni a lavorare sempre di più e meglio e che le famiglie di origine si ravvedano, benchè sia pura utopia senza un intervento a livello culturale.
Nessuno (poche persone in caso) credo possa dire di aver vissuto quel che ha vissuto Suad, nome di fantasia per proteggere la sua identità e meglio per lui. Ma sapere che lei qui nel nostro continente ed è salva, ha una vita piena, mi rincuora.
Il racconto comincia a spizzichi e bocconi sulla vita in Cisgiordania, una vita agricola, semplice, almeno nel villaggio di Suad. Sembra bello, pittoresco. Una vita naturale ed è ritenuto naturale anche che le donne siano nulla, che solo gli uomini contino, uomini che ti possono riempire di botte, se non anche ammazzarti, quando vogliono e per qualsiasi motivo, anche averci messo troppo a scaldare il tè o aver fatto cadere una goccia di latte, singola.
Basta nulla per essere definita charmuta, figlia di puttana. Anche solo alzare lo sguardo. Vietato uscire da sole, ogni passo è sorvegliato.
Suad però compie un'azione imperdonabile e viene bruciata viva dal cognato, per ripristinare l'onore della famiglia. E' viva per miracolo e per l'ostinazione di una donna che lavora nel campo umanitario che ha compiuto l'impossibile. Due eroine: Suad per la forza di tornare a vivere e Jacqueline per i rischi e le difficoltà incontrare per aiutare la giovane cisgiordana.
Allora inizia ad avere percezione di sè, del mondo, di tutto quel che non sapeva e del fatto che non è normale vivere nella paura, nella consapevolezza che potresti essere uccisa, nel gioire nel pensare a tuo padre malato, ferito, morto. Vivere così rende bestie, non esseri umani, non si può pensare. E la concezione è davvero questa. Suo padre le diceva che il bestiame è utile, porta soldi, le donne no, sono solo bocche da sfamare e vengono trattate meno degli animali.
Una vita che lascerà fino alla morte il marchio su chi l'ha vissuta ed è scampata ad una morte atroce. Suad ha lottato e sicuramente lotta ancora per una vita normale, ma i vuoti di memoria, gli incubi, la sofferenza, la paura torneranno sempre a farle visita. E' difficile per lei solo uscire di casa perchè è praticamente ustionata in tutto il busto superiore, deve coprirsi tutto l'anno e vivere nel disagio fisico e mentale.
Il racconto infatti può risultare confusionario. Ed è anche troppo organico ,considerando ciò che ha subito questa donna, che vive con accortezze perchè sa che potrebbe ancora essere rintracciata, se solo la sua famiglia sospettasse della sua sopravvivenza.
Sicuramente se avessi continuato gli studi universitari, avrei fatto di tutto per lavorare nel campo umanitario. Odio le ingiustizie. Sarei una Jacqueline che strappa i sofferenti per aiutarli a vivere una vita migliore in Europa. Sono facilonista? Non mi interessa. Non ci si può girare davanti a queste situazioni. Come si può restare indifferenti?
La rabbia che si prova è tanta leggendo questa storia, capisco la rabbia di una delle sue figlie che andrebbe ad uccidere i parenti della madre. Ci sarebbe tanto di quel lavoro da fare...Occidentalizzare è sbagliato, ma è sbagliato anche trattare così gli esseri umani, in questo caso le donne. Occorrerebbe lavorare sul rispetto delle persone ed aprire le frontiere, altro che chiuderle. Magari usando la testa.
Tutto questo, non dovrebbe, deve finire.
Spero che la storia di Suad aiuti vittime di violenza a cercare di uscirne, stimoli le organizzazioni a lavorare sempre di più e meglio e che le famiglie di origine si ravvedano, benchè sia pura utopia senza un intervento a livello culturale.
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