28/03/19

Recensione di Kitchen di Banana Yoshimoto

Trama: "Non c'è posto al mondo che non ami di più della cucina..." Così comincia il romanzo di Banana Yoshimoto, Kitchen. È un romanzo sulla solitudine giovanile. Le cucine, nuovissime e luccicanti o vecchie e vissute, che riempiono i sogni della protagonista Mikage, rimasta sola al mondo dopo la morte della nonna, rappresentano il calore di una famiglia sempre desiderata. Ma la grande trovata di Banana è che la famiglia si possa, non solo scegliere, ma inventare. Così il padre del giovane amico della protagonista Yūichi può diventare o rivelarsi madre e Mikage può eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguità. Con questo romanzo, e il breve racconto che lo chiude, Banana Yoshimoto si è imposta all'attenzione del pubblico italiano mostrando un'immagine del Giappone completamente sconosciuta agli occidentali, con un linguaggio assai fresco e originale che vuole essere una rielaborazione letteraria dello stile dei manga. 

Questa è la prima opera di Banana Yoshimoto che si impone al pubblico italiano più di venticinque anni fa, ormai.
L'autrice è, si può affermare con poco timore, una garanzia per i suoi lettori.

La storia di questo volume riguarda le vicende di Mikage, giovane universitaria, rimasta letteralmente sola al mondo nel giro di pochi anni. L'ultima parente morta è la nonna. Il lutto è devastante, ma sarà l'ex commesso fiorario, Yuuichi, presso cui l'amata anziana si riforniva, ad avvicinarsi alla ragazza. Le ha proposto, senza secondi fini, di vivere con lui e la madre finché non si sarebbe sentita forte e capace di rialzarsi dal suo dolore.


Il romanzo è innegabilmente breve e contiene anche un racconto alla fine, Moonlight Shadow, prima prova letteraria dell'autrice, che ha sempre per oggetto la morte e la cui protagonista è una giovane liceale a cui è morto il fidanzato.
Il filo conduttore si può definire la perdita ed il dolore con cui ci si deve confrontare, l'istinto ad isolarsi e lasciarsi andare, sano e sacrosanto all'inizio, deleterio se la cosa non ha una fine all'orizzonte.
La poesia che si respira è tanta, mi sono sentita a casa, cullata, per tutta la durata della lettura. Però è anche vero che le scene vanno dritte al punto, come nella migliore tradizione manga. Di "fumettistico" c'è anche l'aiuto che i protagonisti si danno. Non sono molto portati ad esporre i sentimenti, tipico giapponese, ma compiono azioni (vedi offrire casa ad una sconosciuta) poco "realistiche", combattendo un mondo ormai sempre più chiuso, al di là dell'appartenenza geografica. E' una cosa molto triste che si sia isolati e non si possa contare su nessuno senza sembrare importuni, pazzi, invadenti o rompiscatole, più semplicemente. Si alternano poi i "momenti confessione" come quelli di Eriko, mamma (?) di Yuuichi, che si apre col cuore a Mikage, rivelandole anche cose piuttosto intime benché non scabrose. Inutile dire che sono poco comuni anche queste confessioni.

Si tratta anche di un romanzo attuale, come dicevo per il discorso di solitudine e dolore, ma pure per i temi affrontati come omosessualità e appartenenza di genere che sono molto caldi e travagliati finora e dove, almeno nella letteratura, mi sembra più sdoganato in Giappone. So che bullismo e problemi simili lì sono molto più gravi che da noi (ciò non sminuisce il problema), però già la presenza di locali prevalentemente per chi non è eterosessuale è qualcosa che qui in Italia sembra impossibile, per fare un esempio.

I due giovani, Mikage e Yuuichi, invertono anche i tipici ruoli "uomo/donna" poiché lei  è posata e chiusa, ma ha molto più spirito di iniziativa del giovane che si chiude e vive "ai margini", buttandosi poco e perdendo del tutto la bussola quando la morte busserà alla sua porta.
Questi ragazzi sono comunque tendenti alla solitudine ed al cercare abitudini che diano sicurezza, benessere e coccola.
Mi sono ritrovata molto in questo volume, soprattutto quando parla della solitudine di crescere con un anziano come è successo a lei, benché questo sia un rapporto ricco d'affetto. L'ho trovato molto veritiero, così come per la prima volta si sente amata quando fa l'esperienza con Yuuichi e sua madre, in un ambiente diverso a cui si apre come mai ha potuto fare prima.
C'è anche del realismo magico che di entrambi ha poco. E' semplicemente magico, anche se in maniera poco eclatante e pure se non si tratta della comune magia.
Il paesaggio poi riflette gli stati d'animo. Certamente una persona ansiosa e depressa non vede fiori ed uccellini nemmeno in primavera, in ogni caso non li osserva con gioia.

Ho passato un ottimo tempo con Banana Yoshimoto. Ha una scrittura semplice, ma piena e descrittiva, niente è trattato in maniera blanda e superficiale. Sulla scrittura non saprei esprimermi visto che il volume è scritto in giapponese, lingua molto distante da quella italiana. Posso solo espormi e definirla ricca.

1 commento:

  1. Sono messa male e con poco tempo, ma ti ringrazio per il pensiero ^^

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